Più in generale, le dichiarazioni di Fabio Tranchina, che, curando in quel periodo la latitanza del capo mandamento di Brancaccio, aveva un punto d’osservazione privilegiato su quello che accadeva in Cosa nostra, assumono notevole rilevanza nella misura in cui evidenziano la partecipazione diretta di Giuseppe Graviano alla fase esecutiva della strage di via D’Amelio, ponendosi in linea con la ricostruzione operata da Gaspare Spatuzza che, in maniera più marcata rispetto a quanto emerso dai precedenti processi (basati anche sulla falsa collaborazione di Vincenzo Scarantino), sposta l’accento sul gruppo di Brancaccio in relazione alla gestione di un rilevante segmento della preparazione e dell’esecuzione dell’attentato del 19 luglio 1992. […]
Tranchina spiegava che -all’epoca dei fatti- abitava a Borgo Ulivia, nel rione Falsomiele di Palermo, con i suoi genitori, e che questi ultimi, come ogni estate, dalla metà del mese di giugno e fino ai primi giorni di settembre del 1992, si trasferivano nella casa di villeggiatura a Carini. In tale arco di tempo, rimanendo la casa vuota, egli la metteva a disposizione di Giuseppe Graviano […], affinché questi vi trascorresse la sua latitanza (il quartiere, peraltro, è ubicato a poca distanza da quello di Brancaccio e, dunque, era in un’ottima posizione affinché il capo mandamento continuasse a curare i propri interessi ed a mantenere i contatti coi sodali). Tranchina ricordava che, tra le varie persone che Giuseppe Graviano incontrava, in quel periodo estivo, all’interno della sua abitazione, c’era anche Gaspare Spatuzza […]. Tranchina riferiva anche di aver accompagnato Giuseppe Graviano, nel corso dell’anno 1992, sia prima che dopo la strage di Capaci, a Palermo, in via Tranchina, nel luogo che, come apprendeva dopo la cattura di Riina, era l’abituale punto di ritrovo tra il capomafia di Corleone ed il capo mandamento di Brancaccio. In particolare, proprio la mattina del giorno in cui veniva poi catturato Riina (o, come diceva la sorellina di Tranchina, veniva “arrestata Cosa nostra”), il collaboratore accompagnava Giuseppe Graviano nel locale di via Tranchina e, dopo aver sentito la notizia dell’arresto del boss corleonese, veniva poi contattato da Cristofaro Cannella che gli diceva di star tranquillo per Giuseppe Graviano, perché questi era con lui. Successivamente, Giuseppe Graviano commentava col Tranchina l’arresto di Riina, dicendo che potevano dirsi “tutti figli di ‘stu cristianu” e che, certamente, la sua cattura non era dovuta a delle microspie piazzate nel magazzino di via Tranchina, poiché -in tal caso- avrebbero fatto il blitz in detto locale, dove vi erano talmente tanti soldi “che noi ci potevamo comprare la Sicilia” […].
In particolare, in due diverse circostanze, entrambe nel mese di luglio 1992, proprio lungo il tragitto di ritorno dal magazzino di via Tranchina verso l’abitazione di Borgo Ulivia, Giuseppe Graviano chiedeva a Fabio Tranchina di cambiare il consueto percorso, appositamente per accedere in via D’Amelio. Il primo di tali sopralluoghi, nella prima settimana di luglio, avveniva quando ancora era giorno ed era Graviano ad indicare al Tranchina di imboccare la via D’Amelio, fare il giro della strada ed uscire dalla stessa, senza arrestare la marcia. Il secondo accesso, invece, avveniva nella settimana precedente all’attentato, dopo il tramonto: in quell’occasione c’era anche Cristofaro Cannella, che li precedeva, a bordo della sua autovettura Audi 80, e Graviano raccomandava a Tranchina di non arrestare la marcia perché quella era una zona che “scottava”.
Vale la pena di evidenziare come queste indicazioni di Fabio Tranchina in merito ai due sopralluoghi in via D’Amelio con Giuseppe Graviano, oltre ad esser perfettamente compatibili con i dati oggettivi del tabulato dell’utenza mobile di quest’ultimo, si compongano armonicamente con le indicazioni fornite da Spatuzza, sia in ordine al furto della Fiat 126, che ai successivi incontri con il capo mandamento, proprio nella casa messa a disposizione da Tranchina, con la raccomandazione (nel primo incontro) di rifare i freni dell’automobile e le direttive (nel secondo incontro) sulle modalità con cui rubare le targhe. Detti incontri, infatti, sono (come già detto) ragionevolmente collocabili, anche alla luce dei predetti dati di traffico telefonico dell’utenza di Giuseppe Graviano, rispettivamente, nella prima settimana del mese di luglio (prima dell’allontanamento di Graviano dalla Sicilia, nel pomeriggio del 7 luglio 1992) ed in quella precedente all’attentato di via D’Amelio (dopo il rientro a Palermo del boss, la mattina del 14 luglio 1992). Si riporta, ancora una volta, uno stralcio delle dichiarazioni rese da Fabio Tranchina, sul punto:
[…] P. M. LUCIANI – Scusi se la interrompo, la pregherei di essere estremamente dettagliato su queste circostanze.
TRANCHINA – Sì. Ricordo che ci fu una prima volta, e questo fu esattamente la prima settimana di Luglio del 1992, che Giuseppe quando uscendo da questo appuntamento mi chiese, che ero in macchina con lui ovviamente, io poco fa quando ho detto me ne andavo prendevo via Ugo La Malfa, Viale Regione Siciliana intendevo quando lasciavo lui e me ne andavo solo. Questo invece quando io poi lo andavo a prendere è successo in un paio di occasioni, uno siamo nella prima settimana di Luglio che usciamo da, cioè io lo vado a prendere in questo appuntamento in via Tranchina e Giuseppe Graviano mi dice di fare, abbiamo fatto una strada insolita, diciamo, siamo scesi dalla parte interna, Viale Strasburgo, una cosa dentro dentro, comunque gira di qua, gira a destra, vai avanti mi porta in via D’Amelia. Arrivato in via D’Amelio lui mi disse: “Entra di qua, entra proprio in via D’Amelio – Perché la via D’Amelio è una strada che non spunta perché c’è un muro là di fronte – fai il giro rallenta però non ti fermare”. Quindi abbiamo fatto il giro proprio a ferro di cavallo e siamo andati via. E questa è la prima volta che mi fa passare da Via D’Amelio. Poi praticamente avviene una seconda volta, sempre un’altra volta che io sono andato a prendere il Graviano che l’avevo lasciato la mattina, quando lui finiva l’appuntamento lo andai a prendere e quindi si era fatto
un po’ più tardi, perché sono state due volte questi passaggi in via D’Amelio, una volta era buio e una volta era giorno, credo che la seconda volta fosse buio, io lo andai di nuovo a prendere in questo appuntamento in via Tranchina che lui aveva e ci recammo di nuovo…
AVV. – Signor Tranchina ci può dire quando fu la seconda volta?
TRANCHINA – Siamo proprio nella settimana che precede la strage di Via D’Amelio. Però questa volta davanti a noi c’è Fifetto Cannella con la sua macchina. Stessa cosa, siamo arrivati in via D’Amelio, però ho omesso un particolare dottore, che dopo il primo sopralluogo che facciamo in via D’Amelio Giuseppe mi chiede se io gli avrei potuto trovare un appartamento in via D’Amelio. Dice: “Fabio, mi serve un appartamento qua”. Gli ho detto: “Qua dove?” – “Qua”, proprio mentre eravamo in via D’Amelio mi disse: “Qua mi serve un appartamento, vedi se riesci ad affittarmi un appartamento, però non te ne andare alle Agenzie, non dare documenti, vedi se lo trovi casomai se vogliono pagato sei mesi, pure un anno di affitto anticipato glielo paghi, l’importante che non contatti agenzie. Privatamente”. […] Al che Giuseppe Graviano, proprio nell’occasione del secondo sopralluogo mi chiese: “Fabio, ma l’hai trovato l’appartamento?”. Io in verità neanche l’avevo cercato, signor Presidente, perché per le modalità in cui lui mi aveva chiesto di cercarlo, non ti fare contratto d’affitto, non te ne andare dalle agenzie, non contattare nessuno, non dare documenti, io ho detto ma dove vado? Cioè come faccio io a trovare una casa in questi termini, con queste richieste? E gli disse: “Giuseppe, no, non l’ho trovata”. Perché lui mi chiese: “Ma l’hai trovata?”. Ho detto: “No, sinceramente non ho trovato niente”. E lui aggiunse un particolare perché mi disse che precedentemente questo compito lo aveva dato a Giorgio Pizzo. Dice: “Fabio, glielo avevo detto a Giorgio Pizzo di trovarmi una casa qua però non me l’ha trovata, vedi se me la trovi tu con quelle modalità che mi chiese”. E io gli dissi che non l’avevo trovata. A quel punto gli scappa dalla bocca, dice: “Va bene, non ti preoccupare – lo dico in siciliano signor Presidente e poi lo traduco perché… Giuseppe mi disse, alla mia risposta negativa che non avevo trovato la casa: “va bene non ti preoccupare addubbunnu iardinu (pare dica)”. Che tradotto sarebbe: “Mi arrangio nel giardino”. Cioè una cosa del genere. E io fino là, addubbunnu iardinu non è che… Va beh l’ha detto, però nel momento in cui succedono i fatti signor Presidente, io ho realizzato che in via D’Amelio dove c’era il muretto, perché la via D’Amelio è una strada che non spunta, c’è un muro dietro c’è un giardino. E poi… […].
Le dichiarazioni di Tranchina, poc’anzi riportate, oltre a confermare l’attendibilità di quelle rese da Gaspare Spatuzza, aprono anche significativi spiragli circa il soggetto che azionò il telecomando in via D’Amelio ed in ordine al luogo dove era appostato il commando (od almeno, una parte del commando) che attendeva l’arrivo del dott. Paolo Borsellino, presso l’abitazione dove si trovava sua madre. Infatti, in occasione del primo sopralluogo, Giuseppe Graviano chiedeva a Tranchina di procurargli un appartamento proprio in via D’Amelio, raccomandandogli di non rivolgersi alle agenzie immobiliari, né di stipulare contratti e di pagare in contanti (dicendo anche che la stessa richiesta, già fatta a Giorgio Pizzo, non veniva soddisfatta). Tranchina, tuttavia, non si attivava particolarmente, attesa la prevedibile difficoltà che avrebbe incontrato per assolvere siffatto compito, in ragione delle modalità indicategli, sicché, al momento del secondo sopralluogo in via D’Amelio, quando il capo mandamento tornava sull’argomento, Tranchina gli faceva presente che non aveva trovato alcun immobile. La secca risposta di Giuseppe Graviano (“va bé addubbo ne iardinu”), da un lato, rende palese che la sua richiesta non era certamente volta a reperire un appartamento dove trascorrere la latitanza e, dall’altro lato, fornisce una indicazione circa il possibile luogo da cui gli attentatori azionavano il telecomando che provocava la micidiale esplosione (la via D’Amelio, infatti, è a fondo chiuso e termina con un muro, dietro al quale c’è, appunto, un agrumeto), tenuto anche conto di quanto rivelato da Giovan Battista Ferrante, in merito al commento di Salvatore Biondino che (durante il macabro brindisi di festeggiamento), diceva che “le uniche persone che potevano avere delle conseguenze era chi stava dietro il muro, vicino al muro, a chi poteva succedere qualcosa, perché essendo vicino al posto, dove era successa l’esplosione, gli poteva accadere il muro addosso”.
[…]
GIUDICE – Senta una cosa, Lei ha detto che ci fu quel commento di questo Graviano, “Hai visto ca na spirugliamu?”, questo dopo via D’Amelio, no? Ma dopo Capaci ci furono commenti di questo genere all’interno dell’organizzazione?
IMPUTATO TRANCHINA – No.
GIUDICE – C’era un’aria, come dire, di obiettivo raggiunto, di successo conseguito?
IMPUTATO TRANCHINA – Come commenti, diciamo, di quel genere no, però mi ricordo che un giorno vedendo Filippo Graviano era come a quello che cercava di giustificare quanto era successo, con riferimento parlando a Capaci, perché diceva: “Ma lo sai, io parlando con le persone mi hanno detto «intanto non è successo niente, che non è morta neanche una persona estranea al fatto», sono cose che si muore in tanti modi, può capitare di tutto”. Cioè lui cercava di giustificare come se la gente non condannava il gesto. Cioè questa cosa mi restò impressa. Cioè lui non stava parlando proprio con me esplicitamente, eravamo più di una persona, diciamo, là, e mi ricordo pure che eravamo alla zona industriale, in dei capannoni che avevano acquistato da un fallimento, e lui fece questo commento. Come a volere… come se la gente giustificava questo gesto folle che era stato commesso.
GIUDICE – O come se lui si volesse giustificare davanti alla gente che non lo capiva.
IMPUTATO TRANCHINA – Sì, “la gente non ci condanna”. Io poi mi vedevo il telegiornale e dicevo: ma mi sa mi sa che un po’ qua Filippo le cose non le vede tanto bene, perché la risposta della gente c’è stata, eccome.
(pagg 1336- 1402)