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Hergé e i segreti dell’avventura. Tintin sulla luna

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Il 2019 è l’anno della luna, o meglio del primo allunaggio, avvenuto esattamente cinquanta anni fa. In Italia erano le 22:17 di domenica 20 luglio 1969 quando il Lem pilotato da Neil Armstrong e Eugene “Buzz” Aldrin pose “le zampe” sul suolo lunare. Insieme a Michael Collins, rimasto in orbita ad attenderli, gli “eroici guerrieri” della Nasa mostravano al mondo e, soprattutto, all’URSS la forza degli Stati Uniti nella sfida per la conquista dello spazio. Innumerevoli le iniziative per ricordare questo momento: articoli, film, documentari, mostre ed eventi vari. Ovviamente i promotori culturali (e commerciali) fanno il loro lavoro sfruttando occasioni ghiotte come questa. In particolare, l’industria editoriale ha cominciato da settimane a rifornire le librerie di volumi di ogni genere sulla luna in un bailamme di titoli in cui non sempre è facile raccapezzarsi. In mezzo alla varietà di proposte noi vogliamo segnalarne una particolare. Tra gli scaffali dell’area fumetti potete trovare una ghiotta “edizione anniversario”, Tintin sulla luna (Rizzoli-Lizard, pp.128, euro 25, 2019) di Hergé. Non è una novità che il fumetto debba molta ispirazione non solo alla storia, ma anche alla grande tradizione della narrativa avventurosa, anticipando paradossalmente scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche. Era accaduto con Verne e Wells, ad esempio, ma non è da meno il “fumettista” Hergé  che – come ci ricorda Stefano Salis (Domenica de Il Sole 24 Ore del 14 luglio 2019) – riuscì a prevedere dettagli apparentemente sorprendenti (la tuta di Tintin, la modalità di scendere dalla scaletta e persino le parole simili a quelle degli astronauti americani). Nessuna meraviglia in realtà. Si tratta della potenza dell’immaginazione. Non era una novità per Hergé liberare la fantasia, ancorandola però ad attente letture scientifiche, come accaduto in altre sue storie. “Pochissimi sanno che il VASH, il più piccolo sommergibile al mondo, dalle forme di cetaceo, con pinne e sfiatatoi, costruito da Doc Rowe e Dusty Kaiser negli Stati Uniti nel 1994 è la copia praticamente identica di quello apparso in un’avventura di Tintin, Il tesoro di Rackham il Rosso, disegnata da Hergé mezzo secolo prima.” (in A cura di M.Ciardi e G.Giorello, A bordo della cronosfera, Carocci, 2014).

Se ci concentriamo sul piano della narrazione sorge una domanda. In epoca di “graphic novel” sarà eccessivo definire letteratura l’opera del disegnatore belga? Certo è che non si può fare a meno di pensare a quanto siano complessi i rimandi delle sue storie disegnate a Balzac, Chaucer, Shakespeare, Stevenson, Jane Austen o Henry James, Molière o Dumas, Faulkner e Rabelais… Il suo Tintin  aveva esordito  nel 1929 sul supplemento per ragazzi dell’ultracattolico quotidiano belga Le Vingtième Siècle. Scriveva Tom McCarthy in Tintin e il segreto della letteratura (Piemme, 2007) che “La prima avventura di Tintin – Tintin nel paese dei Soviet –  è prima di tutto un pezzo di propaganda, che «svela» i mali del comunismo.” Autore di fama, ma anche personaggio controverso, Hergé ha avuto un passato politico tormentato, tanto da essere stato accusato di collaborazionismo per gli anni dell’occupazione nazista del Belgio e di anticomunismo. Negli anni, con il mutare del clima politico, egli sposta successivamente la sua ideologia prima verso il liberalismo e infine verso un eco-pacifismo più rassicurante, rivisitati attraverso le avventure dell’eterno ragazzo dal faccione rotondo, dal ciuffettino e dai  pantaloni alla zuava. Hergé ci immerge, allora, in uno straordinario mondo a più chiavi di lettura, fatto  di complotti e agguati, di misteri e orrori, ma anche di profonde amicizie, di odi e simpatie, di buoni e cattivi. Insomma, in quella che è la nostra vita. McCarthy conferma nel suo bel saggio lo spessore culturale dell’autore belga, sottolineando che nonostante fosse nato come un fumetto per piccoli lettori, grazie alle influenze storiche, filosofiche e letterarie, ma anche esistenziali e sociali, Tintin è divenuto una icona della nostra modernità.

Tuttavia non sarebbe quel che è senza quel peculiare stile grafico che diede inizio alla tradizione della cosiddetta ligne claire. Se prendiamo in mano Tintin sulla luna, che raccoglie le due straordinarie storie, Obiettivo Luna (1953) e Uomini sulla luna (1954), possiamo rendercene conto. Ci ricorda Sergio Algozzino, citato nel fondamentale saggio di Andrea Tosti, Graphic Novel (Tunué, 2016), che – proprio esaminando la tavola 43 di Obiettivo Luna – si può intendere al meglio la linea chiara: “ … modulazione leggera, contorni chiusi, linee essenziali e precise, assenza di tratteggi, pochi neri ma pieni, nessuna sporcata, ogni forma è trattata alla stessa maniera: uomini, macchine, impalcature, nulla è lasciato al caso.” La ligne claire franco-belga è caratterizzata, dunque, da tratti puliti che escludono i particolari superflui per concentrarsi sulla narratività di personaggi, grazie anche alla cura maniacale della storia e della sceneggiatura e, nel contempo, delle scenografie che rendono i personaggi evergreen per bambini e adulti. E quelli di Hergé sono non a caso rimasti indimenticabili e veri nelle emozioni, anche quando caricaturali e umoristici: il cagnolino Milou, il Capitano Haddock, vero lupo di mare, grande bevitore e imprecatore, il geniale professor Girasole, sordo come una campana, i due poliziotti Dupont e Dupond, sempre in giacca e bombetta, e Bianca Castafiore, soprano italiano presente in diverse storie, ma rimarchevole soprattutto nel capolavoro di Hergé, I gioielli della Castafiore. L’indagine da svelare questa volta si sposta nello spazio. L’enigma da sciogliere è complicato da un intrigo spionistico che si intreccia come non mai al tema del viaggio. E che viaggio! Fino a quel momento Tintin aveva attraversato tutti i luoghi del nostro pianeta, di mare, di terra e di cielo. Esaurita ogni esplorazione e risolto ogni mistero non restava ad Hergé che lo spazio siderale, la prossima frontiera dell’uomo.


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