Ugo Gregoretti è stato la televisione intelligente. Sono note, ovviamente, le cospicue attività nel cinema, che gli è stata riconosciuta tardivamente nel 2010 con il Nastro d’argento alla carriera; nonché la vivacissima indole giornalistica. O l’attitudine di organizzatore culturale o di direttore d’opera. O di uomo di teatro. O di attore. Tuttavia, non meno importante e per certi versi più rivoluzionaria è la parte della biografia che attiene al piccolo schermo.
Con il documentario di esordio (1960) “La Sicilia del Gattopardo” vinse il Prix Italia. Ma la genialità prefigurante (pensiamo all’invenzione della contaminazione tra la cultura d’élite e la fruizione popolare) si appalesa in alcuni capolavori veri e propri della Rai: “Controfagotto”, “Il Circolo Pickwick”, “Romanzo popolare italiano”, ”Uova fatali”, “Sottotraccia”, “Lezioni di design”, per fare un po’ di esempi.
“Uova fatali”, tra l’altro, svelò i trucchi e i retroscena della produzione televisiva. E fu all’avanguardia sotto il profilo tecnologico: ad esempio, il chroma key (vale a dire la fusione di immagini o spezzoni filmati diversi) utilizzato per la prima volta come linguaggio e strumento creativo nella gloriosa sede di Torino. Ed eravamo negli anni settanta, prima dell’era digitale che ha reso normali sperimentazioni in precedenza frutto del puro talento naturale. Pensiamo, poi, alla celebre serie dell’opera di Charles Dickens, quel “Circolo Pickwick” che ci ha raccontato la società inglese dell’Ottocento in modo così realistico da diventare una metafora della banalità della vita quotidiana. E lì l’immaginario fertile di Gregoretti si esercitò con soluzioni inedite e di rottura, con l’incrocio tra il racconto giornalistico riportato al tempo della contemporaneità e la storia sceneggiata dell’epoca. La voglia di intrecciare con ironia ed emozioni riposte ma fortissime quelli che poi la mediologia chiamò format contribuì a scrivere pagine indimenticabili della televisione. E poi le inchieste nel e sul paese “minore”, le periferie diremmo oggi. Negli anni sessanta e settanta i centri metropolitani erano davvero pochi e l’arguzia del cronista-autore si esercitò al massimo. Va sottolineato che il fortunato genere delle rubriche e dei talk è debitore di quel calco originario, in un’epoca segnata da comprimari d’eccezione. Come Sergio Zavoli ed Enzo Biagi, per citare due nomi celeberrimi. E, a suo modo, Nanni Loy. O Gigi Proietti.
La capacità di Gregoretti fu proprio quella di trasformare il giornalismo televisivo contaminandolo con lo spettacolo, attraverso il ricorso all’ironia leggera e sottile come stile inconfondibile. Era l’essenza della televisione intelligente, lontana anni luce dalla vorticosa discesa negli inferi del trash che ha connotato cospicua parte dei palinsesti. Quando il “duopolio” Rai-Fininvest/Mediaset scelse la strada della concorrenza al ribasso e il modello commerciale vinse quasi a mani basse. Salvo le eccezioni, che non per caso riprendevano lo spirito di Gregoretti.
L’uso profondo della parola, i riferimenti scherzosi e pur sempre raffinati, la critica del senso comune senza urla o populismi sono stati la carta di identità di una personalità che ora cominceremo a rimpiangere. Con le lacrime e con la rabbia, per come siamo finiti tra volgarità e grandi fratelli inguardabili.
Eppure, Gregoretti, entrato nell’azienda di Stato ai suoi inizi, già nel ’53, ci ha dimostrato che un’altra televisione era possibile. Raccolsero il testimone Massimo Fichera ed Angelo Guglielmi, ma la linea dominante si piegò alla mera ricerca dell’ascolto e alla conquista delle platee degli utenti per la pubblicità. L’alternativa era (ed è) la costruzione di palinsesti arricchiti dalle differenze e dal pluralismo culturale, con l’iniezione di linguaggi coraggiosi e non omologati.
Gregoretti era impegnato politicamente, essendo stato convintamente iscritto al partito comunista italiano e rimasto intriso di passioni civili fino alla fine. L’essere di parte, però, non ha mai compromesso indipendenza e spirito critico, dimostrando che si può fare politica in modo alto e dignitoso. Anzi. Senza la cifra politica lo svolgimento della vita artistica di Gregoretti sarebbe stato forse monco e inaridito. Persino i preziosi materiali audiovisivi girati per qualche campagna elettorale e custoditi dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico hanno una qualità davvero significativa, dove il sarcasmo nobilita la cifra propagandistica.
Va ricordata l’esperienza notevole della presidenza dell’associazione degli autori cinematografici (Anac) in cui si è fatto valere anche nella dialettica con i governi sulle mancate riforme del settore.
Si trovò benissimo con il fratello altrettanto geniale Cesare Zavattini nei “Cinegiornali liberi”. Nel frattempo avrà raggiunto lassù, e chissà quali battute. Acri ed eleganti.