È il testimone chiave nel processo in corso a Pavia per la morte del fotoreporter italiano Andrea Rocchelli e del giornalista e attivista per i diritti umani russo Andrey Mironov, il 24 maggio 2014 a Sloviansk in Est Ucraina. Che vede come unico imputato Vitaly Markiv, militare della Guardia nazionale di Kiev e cittadino italo-ucraino. Insieme al fotoreporter francese William Roguelon, che ha deposto in aula, è l’unico testimone oculare sopravvissuto. Eppure, non si è mai presentato.
Si chiama Evgeny Koshman, 36, ed è il tassista locale che quel giorno accompagnò Rocchelli, Mironov e Roguelon dall’hotel in centro al sobborgo di Andreevka dove furono colpiti.
Era stato convocato come teste dalla Difesa di Markiv, guidata dall’avvocato Raffaele Della Valle. Ma si è reso irreperibile. Ciononostante, nell’arringa finale, Della Valle lo ha indicato come unico teste affidabile, in contrapposizione a Roguelon che non sarebbe credibile in quanto “superstite”. Un “testimone perfetto” insomma, che confermerebbe l’estraneità assoluta ai fatti di Markiv e delle forze ucraine.
Ma è davvero così? Proviamo a verificarlo. Dopo l’accaduto, Koshman ha fornito nel tempo almeno cinque deposizioni ufficiali, di cui siamo a conoscenza. Quasi tutte agli atti del processo. Ma non tutte.
La prima, risale al 26 maggio 2014, a meno di due giorni dalla morte dei reporter. La raccoglie la polizia di Sloviansk, quando la cittadina è ancora in mano ai separatisti filo-russi appoggiati da Mosca. Qui il tassista indica con sicurezza provenienza del fuoco e tipologia: “Loro sono usciti dall’automobile e mi hanno chiesto di aspettarli. In questo momento sono cominciati gli spari che provenivano dalla parte della montagna “Karachun” [la collina ove erano stanziate le truppe di Kiev e lo stesso Markiv, nda], dopodiché, sono saltato nella trincea e i tre sconosciuti mi hanno seguito. Poi, sono cominciati gli spari da lanciagranate, un proiettile ha colpito la nostra trincea”.
Un secondo interrogatorio della polizia è datato 7 novembre 2014. Dopo la cacciata dei separatisti a luglio, Kiev ha ormai ripreso il controllo di Sloviansk. K. ora è più reticente, comunque dice “Voglio precisare che i colpi erano molto forti, in quel momento si facevano le raffiche di mitragliatrice e colpi di mortai”.
Entrambe, sono incluse nella risposta alla rogatoria internazionale lanciata nel 2015 dalla Procura di Pavia, consegnata da Kiev a giugno 2016. I genitori di Andrea l’hanno definita “una scatola vuota”.
C’è poi un terzo interrogatorio della polizia ucraina. 3 dicembre 2015. A condurlo, come il precedente, è il tenente maggiore Derkach. Qui Koshman è molto più cauto, non cita mai la provenienza dei colpi. Ma aggiunge interessanti dettagli, tra cui la presenza di un quinto uomo vicino ai vagoni, “un ragazzo sconosciuto” di 15-17 anni, che sarebbe poi fuggito insieme a lui. E menziona il recupero di schegge di mortaio dalla propria vettura, fornendone le misure esatte.
Inspiegabilmente questo terzo interrogatorio, più completo e che concorda in massima con le dichiarazioni di Roguelon, non è stato inserito nella risposta alla rogatoria.
Ancora, a un anno esatto dalla morte dei due reporter, Koshman concede una intervista a chi scrive, a Sloviansk. Citata in parte in un articolo pubblicato dal sito web L’Espresso. L’unica concessa a un giornalista italiano. Nella sua trascrizione integrale, anch’essa è agli atti del processo. In quell’occasione il tassista parlò di “accanimento” del fuoco sul fossato dove si era nascosto il gruppo dopo i primi spari, e di un aggiustamento progressivo del tiro in quella direzione (“Prima han sparato con mitragliatrici, poi con mortai (…). Poi i colpi sono caduti sempre più vicino, e alla fine sono caduti su di noi”). Come Roguelon in una intervista a chi scrive il giorno dopo l’attacco, pubblicata il 26.5.2014 sul quotidiano La Stampa. E citò un ulteriore interrogatorio subito nella primavera 2015, da una giovane poliziotta di Sloviansk, con sopralluogo ad Andreevka. Che pure è assente dalla rogatoria.
Nel colloquio, Koshman fece capire di sentirsi sotto pressione. Ma accettò di tornare con noi ad Andreevka, per mostrarci la dinamica dei fatti come la ricordava. A bordo del suo Taxi, una Daewoo con l’insegna sul tettuccio. Lo stesso di allora. Era rimasto semi distrutto nell’attacco. L’aveva da poco fatto riparare alla meglio, ci disse, a sue spese. Lui stesso era rimasto ferito nell’attacco, a una mano, l’udito compromesso. Ma nessuno lo aveva mai risarcito, lamentò, né riconosciuto parte lesa. All’interno della carrozzeria erano ancora visibili ovunque segni e fori dei colpi, rabberciati col mastice.
Infine, la mossa più sorprendente del “testimone perfetto”. Il 6 giugno 2015 Koshman ha reso una testimonianza ufficiale a un legale di Stichting Russian Justice Initiative (SRJI), Ong olandese nota per i ricorsi inoltrati a Strasburgo contro la Russia a nome dei civili vittime di gravi violazioni dei Diritti Umani in Cecenia e Nord Caucaso. Quest’ultima sua testimonianza, insieme all’interrogatorio del 3.12.2015, è inclusa anche nel procedimento per i fatti del 24 maggio 2014 davanti alla Corte Europea per i Diritti Umani di Strasburgo (CEDU), presentata per tramite di SRJI. Vi si legge:
“Prima c’erano i suoni della mitragliatrice. (…) Nel momento in cui ci siamo nascosti tutti, iniziò l’attacco di mortaio. I suoni degli spari provenivano dal lato della collina Karachun, la durata del bombardamento continuo era di circa 30 secondi o un minuto. Si esplodeva tutto intorno a noi, il recinto della fabbrica è stato parzialmente distrutto”. E ripete: “Successivamente ho estratto i frammenti di mortai dalla mia macchina, per questo sono assolutamente sicuro che era il fuoco di mortai”.
E per la seconda volta, si parla del quinto uomo. Una presenza confermata poi dalle foto scattate dallo stesso Rocchelli pochi istanti prima di morire. Un ultimo, strenuo sforzo di testimoniare la verità. Che fine ha fatto quel ragazzo? Perché nessuno lo ha mai cercato?
Anche il documento di RSJI è ora agli atti del processo a Pavia. La sentenza è prevista il 12 luglio. Per Markiv è stata chiesta una condanna di 17 anni per concorso in omicidio. Le famiglie Rocchelli e Mironov, cinque anni dopo, ancora attendono un pubblico riconoscimento di responsabilità.