di Stefania Limiti
Come un ‘sali e scendi’ senza sosta lungo una scala tortuosa, le vicende legate alle stragi del ’92 tornano sempre di attualità. Normale, in un paese dove la verità è imprigionata. Sembra che anche i fatti conosciuti possano ancora parlare e svelare.
È il caso della famosa intervista a Paolo Borsellino, fatta nella sua casa palermitana nel maggio di quell’anno terribile, subito dopo la strage di Capaci.
“Sai che era la prima volta che mettevo piedi nella sua casa?”.
Parte da quel ricordo Fabrizio Calvi, il giornalista francese che lo intervistò insieme a Jean Pierre Moscardo, scomparso nel 2010, per un documentario commissionato dalla tv francese. Lo raggiungo al telefono dopo aver letto sul Il fatto che la Procura di Caltanissetta presto avvierà una rogatoria per ascoltarlo come testimone. Calvi – che in questo momento non può viaggiare con facilità a causa dei postumi di un grosso intervento chirurgico – apprende la notizia dalla nostra conversazione.
Tra i fondatori del quotidiano Liberation, conosce molto bene l’Italia e i suoi intrighi, non solo quelli mafiosi. Fu il primo a raccontare nel 1997, con Frederic Laurent, la rete di agenti atlantici, scoperta dall’inchiesta del giudice milanese Guido Salvini, che vigilava e manipolava i neofascisti di Ordine Nuovo responsabili dello stragismo nero.
“Devo proprio a Borsellino il mio primo best seller, La vita quotidiana della mafia dal 1950 ai nostri giorni, scritto nel 1986. Lo conoscevo da molto tempo, me lo aveva presentato il giudice Chinnici, purtroppo ammazzato pure lui nel luglio del 1983. Andavo spesso in Sicilia e ogni volta passavo molto tempo con Borsellino: avevamo lunghissime conversazioni, spesso accese, se toccavamo la politica, io piuttosto di sinistra, lui affatto, direi monarchico. Ci incontravamo nei ristoranti, in macchina o in Procura, anche quando era a Marsala. Ma mai ero stato a casa sua. Solo quella volta mi invitò ad andare, probabilmente non si sentiva tranquillo nel Palazzo di Giustizia, era diffidente. Mi disse subito sì, quando gli chiesi l’intervista, ma aggiunse ’non qui’. E ne riparlammo fuori. In effetti, ricordo il silenzio pesantissimo che regnava in quei giorni in un luogo in genere pieno di gente e di movimento”.
Nel 2002 la Procura di Palermo avrebbe voluto ascoltare la testimonianza di Calvi durante il processo a Marcello Dell’Utri ma rinunciò per problemi di carattere economico (<<Secondo il pm Nico Gozzo, il professionista vive in Francia e vi sarebbero problemi per il pagamento dell’albergo al quale dovrebbe ricorrere Calvi per il giorno della sua testimonianza>>, cit. Ansa, 4 novembre 2002).
<<Subito dopo la strage di via D’Amelio fui interrogato da Giuseppe Di Lello, ora attendo novità, naturalmente sarò lieto di dare il mio contributo>>.
La messa in onda dell’intervista, circa cinquanta minuti di registrazione, venne bloccata dai tragici eventi e la sua esistenza fu svelata da L’espresso nel 1994. Borsellino, tramite voi, volle rendere nota la figura di Vittorio Mangano, lo stalliere, è esatto?
<<Certamente Mangano è al centro della conversazione. In quel momento si trovava in galera ma era uno sconosciuto. Berlusconi non era ancora al centro dell’attenzione pubblica come poi lo sarà dopo, quando fece il suo partito e divenne presidente del Consiglio. Era un industriale non ancora al centro delle inchieste delle procure siciliane quanto di quelle del nord, dove era già scoppiata Tangentopoli. Ecco, Borsellino voleva evidentemente che fosse resa pubblica la storia di Mangano, accennando molto brevemente ad una inchiesta aperta anche a Palermo su Berlusconi, inchiesta di cui non si è saputo poi più nulla, per quanto io ne sappia. Penso che avrà senz’altro valutato i rischi delle sue parole per le indagini, se non per la sua stessa vita>>.
Davvero si può escludere che l’intervista sia stata la causa dell’urgenza con cui Cosa nostra e i suoi concorrenti esterni deciso di anticipare i tempi della strage?
“Tante volte mi sono fatto questa domanda, come puoi immaginare. Ad essere sincero tenderei ad escluderlo. Berlusconi in quel momento, in fondo, era uno dei tanti industriali che potevano orbitare nel mondo mafioso”.
Però Borsellino vi diede dei documenti, chiedendovi di tenere riservato il suo gesto.
“Si è tutto registrato e noi scegliemmo di non tagliare nulla, per non alterare l’affidabilità del documento. Si trattava in realtà dell’elenco di tutti i casi giudiziari nei quali era invischiato Berlusconi, tutti documenti giudiziari pubblici. Quando andai a cercarli mi resi conto che li avevo già quasi tutti nel mio archivio. Fu un gesto di cortesia e di fiducia che ancora mi commuove”.