Non è da tutti ottenere passaporto e cittadinanza onoraria dell’Afghanistan. Per Alberto Cairo è il riconoscimento meritato di un percorso di impegno che parte da lontano, da quel 1989 quando arrivò a Kabul subito dopo il ritiro dei sovietici. Una scommessa con la vita fatta in un paese che ancora oggi non ha trovato sicurezza e stabilità. Sorride nella foto ufficiale con il presidente Ashraf Ghani ed è insolitamente vestito con giacca e cravatta, come non capita mai di vederlo nella capitale afghana,ma mi immagino che subito dopo la breve cerimonia sia corso a rimettersi il suo inseparabile camice bianco con la scritta rossa “Alberto” sul taschino. Le sue giornate al Centro Ortopedico della Croce Rossa Internazionale di Kabul iniziano molto presto,intorno alle 4 e proseguono senza sosta tra le tante attività che è riuscito a realizzare all’interno dell’ospedale in questi 30 anni di lavoro al fianco di uomini donne e bambini vittime delle micidiali mine antiuomo. Tutti a Kabul conoscono l’ospedale di Alberto Cairo, perché tutti hanno avuto un familiare finito su una mina e sanno cosa significhi poter tornare a camminare grazie alle protesi e all’assistenza di Cairo. Le mine sono tra le macerie, nei prati,nei giardini delle case dove i bambini giocano e le donne coltivano la terra. Perdere una gamba in Afghanistan significa perdere la dignità, non poter avere un lavoro, non poter dare da mangiare alla propria famiglia.
Ritornare a camminare vuol dire tornare a vivere, non sentirsi un peso, non finire ai bordi delle strade a chiedere l’elemosina e continuare invece ad essere utile per i propri cari. Cairo con il suo centro rappresenta la possibilità di un futuro per coloro che la guerra ha lasciato a strisciare tra la polvere. Nei vari reparti lavorano soprattutto quei disabili che sono tornati a camminare. Chi meglio di loro può capire le difficoltà e aiutare altri disabili a riprendersi la vita? Tutti tra le montagne dell’Hindu Kush sanno che c’è il rischio di finire su uno di questi micidiali ordigni e che le probabilità aumentano proprio in tempo di pace, quando le persone tornano alla vita normale nei luoghi dove si è combattuto aspramente. E sarà stato anche per questo che in tutte le stagioni, anche le più terribili che hanno insanguinato la capitale afghana, l’Ospedale di Alberto Cairo è rimasto indenne dalle bombe. Ricordo quando gli stessi abitanti del quartiere si misero schierati a protezione dell’edificio e dello stesso Cairo per impedire che durante degli scontri i dimostranti vi entrassero. “ L’Ospedale non si tocca.” era il messaggio ai rivoltosi. “ Hai visto che belle rose?” mi disse una volta accogliendomi per un’intervista. Alberto è orgoglioso delle sue rose che a maggio colorano i vialetti del Centro. Le ha fatte piantare lui che ha costruito un’oasi di pace e speranza nel cuore di uno tra i paesi più tormentati del pianeta.l’Italia, quella migliore che non crede nell’odio ma nel valore del dialoro, può essere orgogliosa di un suo cittadino che è riuscito a conquistare la fiducia degli afghani. Non è da tutti. Congratulazioni dr.Cairo!