I migranti soccorsi in mare dalla nave Sea Watch 3 si trovano da più di dieci giorni a bordo di tale imbarcazione, che staziona in acque internazionali, al limite della “frontiera” italiana. La situazione di stallo si è creata per effetto di tre diverse scelte. La prima è quella del Comandante della nave, che, sulla base di valutazioni che trovano conferma nell’orientamento di Organizzazioni internazionali come il Consiglio d’Europa, ha considerato non sicuro il porto indicato dalle Autorità libiche e ha indirizzato all’Italia molteplici richieste di indicazione di un porto sicuro, senza ottenere alcun riscontro positivo. La seconda scelta è stata operata dalle Autorità dell’Olanda, Paese del quale la nave batte bandiera, che non hanno ritenuto di inviare alcun tipo di supporto alla propria imbarcazione bloccata in mare. La terza è stata operata dalle Autorità competenti italiane, che il 16 giugno hanno notificato alla nave Sea Watch 3 un divieto di ingresso, transito e sosta nelle nostre acque.
Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà non può né intende intervenire su scelte politiche che esulano dalla propria stretta competenza. Tuttavia, è suo dovere agire per fare cessare eventuali violazioni della libertà personale, incompatibili con i diritti garantiti dalla nostra Carta, e che potrebbero fare incorrere il Paese in sanzioni in sede internazionale. In particolare, ribadisce che le persone e loro vite non possono mai divenire strumento di pressione in trattative e confronti tra Stati. Ritiene inoltre che la situazione in essere richieda la necessità di verificare se lo Stato italiano, attraverso le sue Autorità competenti, stia integrando una violazione dei diritti delle persone trattenute a bordo della nave.
Ricorda in tal senso che la Corte europea dei diritti umani nella sentenza di condanna dell’Italia nel caso “Hirsi Jamaa c. Italia” (2012), ha argomentato che tutte le forme di controllo dell’immigrazione e delle frontiere sono sopposte alle norme in materia di diritti umani, qualunque sia il personale incaricato di queste operazioni e il luogo in cui esse si svolgano. Il Garante nazionale si interroga se nel caso della Sea Watch 3, sia proprio il pur legittimo esercizio della sovranità da parte del nostro Paese a determinare giurisdizione e responsabilità nei confronti delle persone, incluso almeno un minore non accompagnato, bloccate in condizioni sempre più gravi al confine delle sue acque. Del resto, l’esercizio stesso del divieto e la sua attuazione implicano che il Paese garantisca l’effettività dei diritti derivanti dagli obblighi internazionali alle persone bloccate: di non essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti; di non essere rinviati in Paesi dove ciò possa avvenire; di avere la possibilità di ricorrere contro l’attuale situazione di fatto di non libertà davanti all’autorità giudiziaria; di richiedere protezione internazionale.
L’esercizio della giurisdizione italiana sull’imbarcazione sembra inoltre confermato dalla valutazione delle vulnerabilità delle persone a bordo a cui è stato permesso lo sbarco: non può essere però questa la sola via d’uscita dalla situazione presente che, a parere del Garante, sta degenerando.
Anche in osservanza dell’obbligo che questa Autorità di garanzia ha nel proprio Codice etico, che impone di trasmettere tempestivamente all’Autorità giudiziaria eventuali ipotesi di reato ai danni di persone detenute o private della libertà di cui abbia avuto conoscenza, il Garante nazionale nei giorni scorsi ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma per richiedere una verifica su eventuali aspetti penalmente rilevanti nell’attuale blocco della Sea Watch 3.