Siamo abituati che “tanto è così”. Siamo abituati all’ingiustizia, al sopruso, alla sporcizia. La sporcizia fuori e dentro di noi. Chi si ribella è perduto. Qui, a queste latitudini, o fai parte del “Sistema” oppure sei morto. Ti fanno morire anche da vivo, qui.
Qui da noi è così.
Qui da noi se parli, parli per lanciare messaggi.
Se parli, è per dire cose che in realtà non dici, ma vuoi che si sappiano.
Qui, funziona così.
Qui se arrivi a gestire il potere, lo fai perché adesso tocca a te e guai a chi ti tocca.
Qui è sempre una giostra che gira e, o sei sopra e giri pure tu, e nel verso giusto, oppure sei a terra.
Chi è a terra muore.
Qui, se non sei sopra la giostra, muori anche da vivo.
Qui, se parli non per lanciare messaggi ma per dire delle cose, nessuno ti ascolta.
Perché se dici delle cose e hai da dirle perché dimostri che sono vere, ti prendono per pazzo.
E Peppino così era, un pazzo.
Un pazzo lucido.
Andava avanti ugualmente.
Nonostante quelle scritte sui muri, che dicevano “Peppino muori”, nonstante le derisioni nei consigli comunali, nonostante le minacce fossero fatte davanti a tutti, proprio nei consigli comunali.
Qui, funziona così.
Se ti fanno trovare una testa mozzata di un animale fuori dalla porta di casa, il messaggio ti arriva e tu sai da chi e perché. Tutti lo sanno, tranne chi deve saperlo davvero per proteggerti.
Qui se dici di essere qualcuno lo sei davvero.
Qui non conta quello che fai e quello che dimostri di sapere.
Qui, conta quello che non fai, conta il tuo essere fermo rispetto all’azione di qualcun altro, conta il non detto e il non fatto. Qui, fai carriera se non dici, non reagisci, non prendi posizione. Qui, diceva Peppino, “non c’è la mafia, c’è il Sistema”.
E “il Sistema” si può definire solo attraverso la negazione di un’azione.
Qui la comunicazione è ferma all’era pre-linguaggio: sono tutti segni, sguardi, branchi che si coagulano, poi si sfaldano, poi si riaddensano in forme diverse.
Il branco: chi è dentro è salvo, chi è fuori è morto.
Peppino era un morto vivente e lo sapeva. “Dovranno passare sul mio cadavere”, disse in uno dei suoi ultimi comizi.
E ci sono passati.
Adesso la Orex, un mega albergo inserito da Legambiente tra gli ecomostri del Salento, è un bellissimo resort, in pieno parco naturale regionale.
Sui lidi, affidati ai privati, si spaccia coca come se piovesse.
La strategia dei piromani è sempre la stessa. Bruciare bruciare bruciare senza ripiantare. Prima o poi costruiranno. Come hanno fatto con la Orex: un progetto pensato a tavolino da 40 anni, per far decorrere i tempi di legge che vieta di costruire là dove s’è bruciato.
Il centro di stoccaggio per rifiuti, di proprietà pubblica, sventrato, mai utilizzato, saccheggiato, usato come deposito per i camion dei clan.
Tutto sotto gli occhi di tutti.
E tutto abbiamo fotografato, pubblicato, analizzato. I fusti di pcb nella discarica di Burgesi e nelle campagne, le false bonifiche.
E che cosa ci hanno fatto: mai dimenticherò quella voragine nel muro della redazione. Un muro antico spesso più di un metro, buttato giù per rubare tutti i computer. Ma quelle foto che cercavano le avevo già consegnate agli inquirenti e le avevo anche pubblicate.
E quelle quintalate di rifiuti davanti alla porta della redazione e noi che le spostavamo per entrare e lavorare come se niente fosse, non prima di averle fotografate e aver chiamato la ditta di raccolta rifiuti, di proprietà del clan, per dire “venitevi a prendere quello che avete buttato”.
Ora sono aneddoti di una vita dedicata al bene comune dell’informazione. Ma qui neanche questo conta. Qui, non sei quello che fai, ma quello che dici di essere.
Sono passati 11 anni dalla morte di Peppino e 20 dalla scoperta di quei fusti e di quei traffici mafiosi.
E noi siamo ancora qui, a chiedere giustizia. Abbiamo lanciato come Tacco d’Italia una petizione on line indirizzata al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede perché faccia riaprire le indagini sulla morte di Peppino, raccogliendo oltre 33mila firme; abbiamo chiesto e ottenuto che Libera inserisca Peppino tra le vittime innocenti di mafia il cui nome è letto il 21 marzo, giornata della memoria e dell’impegno contro le mafie.
Quest’anno il nome di Peppino per la prima volta è stato declamato, insieme a quello di Renata Fonte e a tanti altri.
Noi continuiamo a chiedere giustizia per Peppino e per tutti noi, figli suoi.
Fonte: www.iltaccoditalia.info