Michael Jackson, scomparso dieci anni fa all’età di cinquant’anni, non ha avuto eredi e non potrà mai averne. Non ne ha avuti perché era un personaggio unico e inimitabile, nel bene e nel male. Non potrà mai averne perché è cambiato il mondo e un artista del genere sarebbe considerato, forse, ancora più ingombrante di quanto non lo sia stato a suo tempo.
E allora parliamo di ciò che è stato, del suo smisurato talento, dei dubbi e dei misteri relativi alla sua fine, dell’epopea incarnata dalla sua musica e dalla pesante eredità che ci ha lasciato.
Il re del pop, interprete di capolavori immortali, non è morto e non morirà mai, anche se non ne avvertiamo più la presenza fisica.
Niente più scandali, niente più pazzie, niente più eccessi, niente più discussioni sul suo essere una personalità eccentrica, indecifrabile e destinata a suscitare sempre una lunga scia di polemiche, niente di niente se non il silenzio.
Ora che riposa serenamente, che la sua assurda vita è giunta all’epilogo ed è possibile tracciarne un bilancio, diciamo solo grazie al suo genio e alla meraviglia che ha saputo regalarci negli anni. Il resto lo lasciamo ad altri: non ci appartiene e non ci interessa.
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