Confessiamolo, spesso pensiamo (e diciamo) che le Carte e i manifesti non servono a niente. Lo facciamo con pudore e anche a malincuore, ma tant’è. Eppure, se solo facessimo con piú attenzione ciò che chiediamo ai nostri lettori, ovvero andare in profonditá, ci accorgeremmo che, con molta probabilità, per migliorare il rapporto tra noi e loro dovremmo tenere piú in conto un tema di primo piano: mettersi nei panni altrui.
Ed ecco che anche Carte e manifesti deontologici possono tornare molto utili, nel merito e nel metodo, perché sempre sono frutto di un lavoro a più mani, sodalizi professionali e sindacali, insieme ad associazioni di impegno sociale e civile, territorio, comunità. Una prossimità di competenze e mutuo ascolto dove ‘mediazione’ significa proprio questo: avvicinare ciò che è, o sembra, distante, spezzato. La comunicazione sociale lancia questi segnali a editori e giornalisti (non solo ai cronisti, che ne sanno, eccome): piú strada, meno desk.
E c’é una parola che può aiutarci: rispetto. É una parola antica e modernissima. Non a caso ricorre nelle Carte approvate piú di recente, a partire dalla Carta di Roma, protocollo deontologico per una informazione corretta sull’immigrazione, del dicembre 2011. Pensiamo ad esempio al Manifesto di Venezia, una corretta informazione per contrastare la violenza sulle donne (settembre 2017 ) e al Manifesto di Assisi, le parole non siano pietre, contro il linguaggio dell’odio (ottobre 2018 ).
Sino al manifesto “Media, Donne, Sport: idee guida per una diversa informazione”, nato da un’idea di Uisp e GiULiA Giornaliste e presentato a Roma in questi giorni per sostenere le atlete e le donne del mondo dello sport nella loro lotta alle discriminazioni. Aderiscono e patrocinano: il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, l’Ordine dei giornalisti del Lazio, la FNSI-Federazione nazionale della stampa, la Commissione Pari Opportunità della FNSI, l’Ucsi-Unione cattolica della stampa italiana, USIGRai, Commissione Pari Opportunità USIGRai, Ussi-Unione stampa sportiva italiana, AIC-Associazione italiana calciatori, Gender interuniversity observatory, Assist-Associazione nazionale atlete.
Di che cosa si tratta? “Il mondo dello sport non è “amico delle donne” – è questo l’incipit – oltre alla grave e intollerabile discriminazione economica tra atlete e atleti, alla scarsa presenza delle donne nelle strutture dirigenti delle diverse discipline, alla insufficiente promozione dello sport femminile, c’è una modesta, inadeguata e spesso stereotipata rappresentazione degli sport femminili sui media”.
Queste osservazioni, di per sè preoccupanti, lo risultano ancor di più visto che siamo alla vigilia del più importante evento mediatico di sport femminile: i Campionati del mondo di calcio femminileche prenderanno il via in Francia il 7 giugno. Paole d’ordine: osare e brillare. Ci sarà spettacolo e tifo, ma soprattutto una inedita copertura mediatica, grazie a Sky (copertura totale delle 52 partite in programma) e Rai (copertura di 15 partite sul totale). E un’inedita impresa narrativa, visto che la percezione che lo sport femminile trasmette è profondamente mutata negli ultimi anni. Come verrà affrontata?
In Italia la battaglia per la pari dignità ha avuto una demarcazione netta, una data precisa tra un prima (maggio 2015, col presidente Belloli che sbotta: “Basta non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche”) e un dopo, aprile 2018 con la professionalizzazione di fatto del calcio femminile. E il passaggio di competenze tra Lega dilettanti e Fgci e i grandi club, con Fiorentina e Juventus in testa, che incominciano a scommettere, e investire, sul calcio femminile.
E sarà proprio la capitana delle bianconere, Sara Gama, a guidare anche le azzurre: paladina di diritti civili, 30 anni, il padre è del Congo e la mamma di Trieste. Sarà un Mondiale da ricordare perché lacontaminazione tra sport e sociale sarà evidente e totale. Marca donna, insomma: non si potrà parlare più di sconfinamento perché la storia di Ada Hegerberg, 23 anni, stella norvegese che, al femminile, brilla come quella di Messi, tiene banco. Non ci sarà per polemica in quanto lei è in prima fila per i diritti delle calciatrici e di un’uguaglianza salariale che non c’è. Come la storia della capitana degli Usa Megan Rapinoe, 145 presenze in nazionale e oro olimpico a Londra 2012, che non canterà l’inno in polemica con l’amministrazione Trump. E poi Cedella Marley, stilista e figlia dell’icona nazionale Bob che ha contribuito a finanziare la squadra e la spedizione in Francia delle ‘reggae girls’ della Giamaica.
Anche per questi buoni motivi il manifesto “Donne Media Sport” è da leggere e rammentare quando si tratterà di scrivere, seguire o raccontare quello che avviene in campo e fuori. Il consiglio è per tutti e tutte, certe battaglie di rispetto e civiltà si affrontano insieme, nessuno escluso, nessuna esclusa. Ecco il testo integrale:
“Il mondo dello sport non è “amico delle donne”: oltre alla grave e intollerabile discriminazione economica tra atlete e atleti, alla scarsa presenza delle donne nelle strutture dirigenti delle diverse discipline, alla insufficiente promozione dello sport femminile, c’è una modesta, inadeguata e spesso stereotipata rappresentazione degli sport femminili sui media.
Secondo “I numeri dello sport 2017” del Coni, lo sport italiano è ancora di forte impronta maschile, ma “nel sistema sportivo diverse iniziative mirano a sostenere la partecipazione delle donne. Sebbene l’incidenza delle atlete negli ultimi anni stia gradualmente aumentando, le donne sono sottorappresentate negli organi decisionali delle istituzioni sportive, a livello locale, nazionale ed europeo”. Nel 2017 la quota delle atlete ha raggiunto il suo massimo storico con il 28,2% contro il 71,8% degli atleti maschi, su 4,7 milioni di tesserati complessivi.
“Fisico da urlo”, “icona di stile”, “belle e brave”: sono alcuni esempi di come i media hanno spesso parlato e scritto di atlete e donne di sport, dando giudizi sull’apparenza anziché sulle prestazioni e competenze sportive, valutazioni che assai raramente hanno corrispondenze nel racconto degli sportivi uomini. Si tratta di cliché e pregiudizi che deformano la rappresentazione delle donne nell’informazione sportiva e le inchiodano nell’immaginario su un piano svantaggiato rispetto ai colleghi delle stesse discipline.
L’informazione, anche nel settore dello sport, ha un ruolo fondamentale per promuovere l’attività femminile e le sue eccellenze, contro le discriminazioni e gli stereotipi, per una piena valorizzazione delle donne nello sport e dello sport come fattore di vita sana, per la salute e il benessere.
Nel 1985 la Carta dei Diritti delle donne nello Sport, coinvolgendo atlete, giornaliste, allenatrici, donne impegnate nella politica e nelle istituzioni, ha iniziato a porre in modo sistematico la questione di una corretta rappresentazione delle donne nello sport perché, come sottolineato dalla risoluzione Europea del 1987, “l’immagine pubblica delle donne impegnate nello sport deriva ampiamente dai mezzi di comunicazione”, concetto successivamente ripreso e sviluppato dal “Progetto Europeo Olympia”.
Per una narrazione giornalistica attenta, corretta e consapevole è necessario superare pregiudizi e stereotipi, attenendosi a poche regole di buon giornalismo:
– informare sulle discipline sportive femminili con competenza di merito: scrivere delle atlete nello stesso modo in cui si scrive degli atleti.
– evitare di soffermarsi nei testi sull’aspetto fisico, sul look o sulle relazioni sentimentali, non più – in ogni caso – di quanto si scriva dell’aspetto tecnico, delle prestazioni, dell’impegno e della dedizione profusi per ottenerle; nelle immagini non focalizzarsi su parti del corpo in modo ammiccante.
– dare alle discipline sportive femminili visibilità al pari di quelle maschili in termini di spazi e, a partire dalla programmazione pubblica televisiva e radiofonica, di collocazione oraria. Impegnare gli editori a coinvolgere più giornaliste e commentatrici nelle redazioni sportive, nella cronaca televisiva e radiofonica.
– declinare al femminile i ruoli, le funzioni e le cariche: ad esempio la centrocampista, l’arbitra, la dirigente, la presidente, la coach, l’allenatrice.
– evidenziare le discriminazioni e differenze di genere nello sport, ad esempio per quanto riguarda i compensi sportivi, il valore dei premi e dei benefit, le tutele per le atlete (nonostante sia stato istituito il fondo maternità con la legge Finanziaria 2018), la scarsa rappresentanza nelle dirigenze”.