M5S ha deciso che il premier è Salvini e cede su tutto. Tria: piano per il sud da 85 miliardi. Fracassi, Cgil, “si è perso un anno”
Di Pino Salerno
Probabilmente è stata la chiacchierata con il Presidente della Repubblica Mattarella che ha schiarito le idee a Luigi Di Maio, e non la telefonata con il suo coinquilino nel governo Matteo Salvini. Si è saputo solo nel pomeriggio inoltrato che il capo politico dei 5Stelle aveva incontrato a mezzogiorno il Capo dello Stato, molto preoccupato dopo le parole del premier Conte di ieri in conferenza stampa. Fonti parlamentari raccontano che nel corso del colloquio, il leader dei 5 stelle avrebbe fatto il punto della situazione di governo spiegando al Capo dello Stato che c’è la volontà da parte dei 5 stelle di andare avanti. Su questo – si apprende dai medesimi ambienti – il capo dello Stato avrebbe espresso la necessità di fare al più presto chiarezza nella maggioranza. Il presidente – si ragiona sempre in ambienti parlamentari – avrebbe tra l’altro espresso preoccupazione per l’andamento dell’economia e rimarcato la necessità di far quadrare i conti. No quindi ad un prolungato tira e molla che produrrebbe gravi conseguenze sulla stabilità del quadro economico-finanziario, con inevitabili ricadute negative per famiglie ed imprese.
E’ chiaro che il Capo dello Stato non intende interferire nelle scelte che vorranno compiere le forze politiche (proseguire con gli attuali assetti di governo, eventuale rimpasto, rottura della coalizione con assai probabile sbocco elettorale), né preferisce o auspica soluzioni. La sua unica preoccupazione è garantire che ogni passaggio avvenga nel rispetto della Costituzione e delle prerogative di tutti i soggetti in campo (Presidente della Repubblica, Parlamento, partiti) e in un arco temporale che permetta scelte chiare e passaggi non traumatici, che rischierebbero di compromettere in maniera seria la situazione economica del Paese. A M5S e Lega decidere se e come proseguire il loro rapporto, tenendo conto di questa linea di indirizzo del Capo dello Stato. Insomma, Mattarella non ha digerito che i partiti di governo abbiano dato vita a una crisi extraparlamentare. D’altro canto, solo oggi si è capito che la mossa del premier Conte di parlare al popolo piuttosto che ai parlamentari, sia pure in qualche modo condivisa col Quirinale, non era altro che una delle scene già scritte di un copione il cui finale era già dato per scontato: non sarebbe accaduto nulla, e il governo avrebbe tirato a campare. Non foss’altro per convenienza, soprattutto dei 5Stelle, che dinanzi al rischio di elezioni anticipate in cui potrebbero perdere metà dei parlamentari, hanno ceduto praticamente sull’intera agenda politica dettata da Salvini, sacrificando autonomia politica e identità. Ne è testimonianza una nota della senatrice Paola Taverna: “L’accordo raggiunto sullo sblocca cantieri è una buona notizia. Adesso andiamo avanti con salario minimo, flat tax e autonomie. Siamo pronti a confrontarci appena avremo a disposizione le proposte della Lega”. Non è altro che la conferma di un atto di sudditanza e subalternità a Salvini, che di fatto diviene il vero capo del governo.
Dopo i ripetuti rinvii e lo stallo in Parlamento sui decreti Crescita e Sblocca cantieri, con il rischio che i due provvedimenti non venissero convertiti in legge, Camera e Senato spingono sull’acceleratore e si preparano a un tour de force di due-tre settimane. A rimettere in moto quasi in extremis l’iter dei due provvedimenti, fermi da giorni nelle rispettive commissioni, è l’intesa siglata oggi tra M5s e Lega sulle norme relative al Codice degli Appalti, e l’accordo che potrebbe essere raggiunto sulla trasformazione delle misure cosiddette ‘Salva Roma’ in azioni più generali a favore dei comuni in difficoltà. I tempi, però, stringono: il decreto Sblocca cantieri, all’esame del Senato, scade il 17 giugno, e deve essere licenziato prima da palazzo Madama e poi dalla Camera, dove è atteso in Aula martedì 11 giugno. Il decreto Crescita, ora alla Camera, scade il 29 giugno, e anche in questo caso il provvedimento dovrà essere approvato prima da Montecitorio e poi al Senato, dove sarà all’esame dell’Assemblea nella settimana dal 25 al 27 giugno, con la questione di fiducia. Dunque, tempi strettissimi e testi ‘blindati’ per evitare incidenti di percorso. Stesso orientamento sembra prevalere anche al Senato, viene spiegato da fonti di maggioranza, anche se al momento non è stata presa alcuna decisione in merito. L’intesa raggiunta sul decreto Sblocca cantieri prevede la modifica del testo originario firmato Lega sullo stop di due anni al Codice degli appalti, proposta osteggiata dai 5 stelle: il nuovo testo dispone “la sospensione di alcuni punti rilevanti del Codice degli appalti per due anni, in attesa di una nuova definizione delle regole per liberare da inutile burocrazia le imprese. Al contempo, sarà garantito il rispetto delle norme e del lavoro già fatto nelle commissioni parlamentari sull’argomento. In particolare saranno anche garantite le soglie già in vigore per i subappalti e salvaguardati gli obblighi di sicurezza per le imprese”, spiegano i capigruppo gialloverdi. Intanto, è stata rinviata a mercoledì la seduta della commissione Bilancio al Senato in attesa che M5s e Lega depositino l’emendamento al dl Sblocca cantieri per sospendere parti del Codice degli appalti.
Quanto al decreto Crescita, il nodo delle norme sul debito della Capitale non è ancora stato sciolto, ma la trattativa prosegue: una nuova riunione di maggioranza e Governo dovrebbe tentare di superare l’impasse sulle norme ‘Salva Roma’ volute dai 5 stelle e non gradite alla Lega, che invece vorrebbe ampliare l’impatto delle misure anche a tutti i comuni in difficoltà. Questo il timing dei lavori parlamentari che si profila: l’esame del decreto Sblocca cantieri inizierà domani mattina alle 9.30 in Aula al Senato, ha stabilito la conferenza dei capigruppo. Il voto sul provvedimento è atteso nella giornata di giovedì. Dopodiché passerà alla Camera, e sarà all’attenzione dell’Aula da martedì 11 giugno, per essere licenziato in via definitiva entro la stessa settimana. L’approdo del decreto Crescita in Aula alla Camera slitta invece a giovedì (inizialmente era previsto per oggi): la discussione generale dovrebbe iniziare alle 18 e, al termine, il Governo dovrebbe porre la questione di fiducia, il cui voto si svolgerebbe venerdì, mentre il voto finale sul provvedimento dovrebbe tenersi sabato mattina. Il decreto passerebbe quindi all’esame del Senato, per essere approvato definitivamente il 27 giugno. Passata questa fase, riprenderanno a litigare? Chissà.
E mentre Di Maio e Salvini sembrano occupati dai decreti su cantieri e crescita, il loro collega all’Economia, Giovanni Tria, lancia a Napoli un piano per il Mezzogiorno. Giovanni Tria spiega che questo significa “mettere in fila tutti i provvedimenti per il Mezzogiorno” e “lo stiamo facendo”. Il titolare dell’Economia ha sottolineato che questo rappresenta “un accatastarsi di provvedimenti tutti buoni, ma non collegati gli uni con gli altri. Abbiamo tante risorse, ma mai come parte di un piano”. Per Tria bisogna “partire dalla mappatura” e questo “è utile per poi mettere mano al piano degli investimenti. Nei prossimi dieci anni abbiamo già lo stanziamento di 85-87 miliardi. Cifre enormi”, ha concluso il ministro. Insomma, pare che pure Tria stia partecipando alla campagna elettorale. Se ne accorge la Cgil, che con la vicesegretaria generale Gianna Fracassi commenta la proposta di Tria. “Si è perso un anno di lavoro. Il ministro dell’Economia annuncia solo oggi la necessità di un Piano per il Sud. Da ormai troppo tempo chiediamo il coordinamento delle politiche e delle risorse, e misure specifiche per lo sviluppo del Mezzogiorno”. Gianna Fracassi prosegue: “Cogliamo l’occasione delle dichiarazioni di Tria sul Sud per rilanciare le nostre proposte, contenute nella piattaforma elaborata da Cgil, Cisl e Uil. Servono – sottolinea la dirigente sindacale – investimenti per la prevenzione, manutenzione e messa in sicurezza del territorio e degli edifici, per le opere infrastrutturali materiali e sociali, in particolare per sanità, servizi sociali e istruzione”. “Sono necessari – aggiunge – un nuovo modello di governance delle politiche industriali e di sviluppo, la valorizzazione della ricerca e il rafforzamento delle amministrazioni pubbliche in termini di personale e competenze. Infine, è fondamentale rendere operative le Zone Economiche Speciali e sostenere politiche su sicurezza, lotta al lavoro irregolare e forte azione di contrasto alla criminalità”. “Dobbiamo unire il Paese, altro che autonomia differenziata, per questo – conclude Fracassi – il prossimo 22 giugno saremo a Reggio Calabria per una manifestazione nazionale unitaria ‘Futuro al lavoro. Ripartiamo dal Sud per unire il Paese’”.