Avevi sempre la sensazione di star facendo qualche cosa che avrebbe lasciato il segno. Ho conosciuto Roberto quando arrivò all’allora neonata Rai International che Roberto ereditava da Angela Buttiglione. Un Morrione quindi in una veste diversa, non il giornalista da tutti conosciuto e apprezzato, ma il giornalista manager. Il direttore che aveva il compito di portare la Rai nel mondo.
In poco più di due anni, con l’aiuto di Renzo Arbore, che era il direttore artistico, riuscimmo nel miracolo di portare Rai International nel ristretto club delle emittenti internazionali. Quelle come, per capirci, l’inglese BBC, la tedesca Deutsche Welle, la francese TV5 Monde. Tutte emittenti che tramettevano nel pianeta in diretta dai propri paesi. La Rai era diventata un player globale e multimediale perché trasmetteva non solo televisione, ma anche una radio internazionale via satellite e disponeva del primo portale web in lingua e cultura italiana accessibile da tutto il mondo.
Quando poi la Rai decise di interrompere la sua esperienza a Rai International e di affidare a Roberto il compito di lanciare il primo canale di informazione continua dell’azienda, la prima all news italiana, a distanza di pochi mesi l’ho seguito anche io. E Roberto riuscì ancora una volta in un miracolo. Trasferì la sua recente esperienza internazionale e cross mediale, insieme alla grande esperienza maturata nella lunga carriera giornalistica, nella sua nuova avventura. Ne venne fuori una all news originale che mischiava antiche professionalità con nuove tecnologie e individuò la formula particolare per fare una cosa che allora mancava alla Rai e al Paese. Puntò ad un canale che coprisse da una parte i fatti e gli eventi internazionali che in un mondo globalizzato avevano ricadute locali sempre più immediate e decisive, dall’altra dava spazio e voce e illuminava gli angoli bui che non trovavano copertura nei mass media d’informazione tradizionali.
Detta così, oggi, sembra tutto facile e semplice, ma in realtà c’era un segreto per riuscire in imprese che allora, invece, alla partenza, sembravano impossibili, per tempi stretti, scarsità di budget e complessità di obiettivi. Personalmente, ritengo che quel segreto fosse che Roberto faceva la differenza.
Negli anni trascorsi con lui ho avuto modo di vederlo da vicino al lavoro e capire anche il perché. Innanzitutto il carattere. Roberto era un “uomo di carattere” e “di buon carattere”, nel senso che era un uomo determinato ma mite, capace di ascolto e tollerante, tollerante delle diversità. Ma anche nel senso della fermezza. Di una persona che sapeva tenere ferma la barra del timone anche quando le acque diventavano tempestose.
C’erano, poi, la fiducia e il senso di protezione. Roberto ti dava fiducia e poi ti sosteneva quando le cose magari diventavano complicate e pericolose. Con Roberto potevi rischiare.
C’era poi il coinvolgimento, la squadra. Roberto, era questa la sua dote principale, sapeva fare squadra, crearle, organizzarle e gestirle. Aveva la capacità di individuare le qualità di ognuno e metterle in sintonia con quelle degli altri, dando ad ognuno una motivazione e al gruppo quelle comuni.
Era il suo modo di lavorare, il suo metodo di lavoro. Quello della condivisione e della partecipazione. Il motto di allora era: meglio uno in più che uno in meno.