“Nel primo semestre del 2019 sono stati 2.839 gli stranieri rimpatriati. A fine anno saremo quindi sui 5.600-6.000, numero in linea con quelli degli ultimi anni. Mentre qualcuno aveva parlato, a seconda dei casi, di 500mila o di 90mila da espellere…”. Parole chiare, che mettono ordine, quelle pronunciate dal Garante dei detenuti, Mauro Palma, in audizione alla commissione Affari costituzionali della Camera nelle stesse ore in cui i social e la politica sono infiammati dal dibattito sulla Sea Wacht e il suo capitano. Palma ha anche illustrato la situazione dei centri di permanenza per il rimpatrio registrata durante le sue visite e ha definito “indecorose” le condizioni di alcune strutture; inoltre ha segnalato che delle 2.267 persone trattenute nei centri nei primi sei mesi dell’anno, solo il 39% sono state rimpatriate, dunque si pone “il problema della legittimazione della privazione della libertà per le rimanenti persone”. I numeri del Garante smentiscono clamorosamente i dati diffusi in sede politica e sollevano il velo su quello che sta succedendo nei centri di permanenza. Nel corso dell’audizione non sono mancare severe valutazioni sull’efficacia di alcune misure contenute nel decreto sicurezza.
La maggior parte dei rimpatri avviene in esecuzione di atti di natura penale, in pratica lo stesso motivo degli ultimi 10-15 anni: Il che smentisce, dati alla mano, tutti i proclami sulla rivoluzione nei rimpatri che praticamente non esiste. Per stare ancora sui dati dall’inizio dell’anno sono stati utilizzati 26 voli charter ( 4 per l’Egitto, uno per il Gambia, 4 per la Nigeria, 17 per la Tunisia), che hanno portato all’espulsione di 566 persone, con l’impiego di 1.866 operatori. Per il Garante è necessario lavorare su “nuove forme di incentivazione per i rimpatri volontari, a cui dovrebbero essere destinate risorse, le quali sono invece impiegate per pochi rimpatri forzati». Poi, per illustrare le condizioni dei Centri di permanenza, ha citato l’esempio di Palazzo San Gervasio a Potenza dove sono state trattenute, per periodi vari, 491 persone, ma solo 80 rimpatriate. Questi centri dovevano essere piccoli e vicini agli aeroporti per consentire iter più rapidi. Invece non sempre è così, non nel caso di Potenza. La bassa percentuale di rimpatriati pone un problema su come vengono trattati quelli che restano e sulla legittimità della misura con cui vengono trattenuti. Un problema irrisolto perché non si sa a quale titolo quelle persone vengono private della loro libertà.
«Nel primo decreto sicurezza – ha detto Palma nel corso dell’audizione – è prevista una convalida del trattenimento in hotspot solo se il richiedente asilo resta per 30 giorni ma per chi non è richiedente asilo tale convalida da parte del magistrato non è prevista».
Severissimo il giudizio del Garante sullo stato in cui versa il centro femminile di Ponte Galeria a Roma: “Nel corso della mia visita ho ritenuto di portare il viceprefetto nell’area dei servizi igienici per chiedergli se li avrebbe mai utilizzati: c’era un nugolo di zanzare e moscerini sulle pareti. Il centro è situato in una zona sotto il livello del mare: sono stati fatti alcuni lavori, qualcosa è migliorato ma la situazione è segnata dal fatto che in tutto il 2018 solo il 13% delle donne è stato rimpatriato”.
(Nella foto il centro di Ponte Galeria)