Il caso della Sea Watch accavalla troppi livelli di lettura per riuscire a capirsi senza dividerli. Partiamo dai più semplici.
1) Il primo livello di questo caso riguarda non i suoi protagonisti, ma la sua protagonista, la capitana Carola. C’è un famoso capitano di tante spedizioni di salvataggio, si chiama Riccardo. Se ci fosse stato lui al comando della nave si sarebbe arrivati a invocare la violenza carnale nei suoi confronti? Non c’è qui un dato di base, evidente: chi con più veemenza inveisce contro la comandante Carola lo fa perché invoca una visione di società nella quale la donna tornerà ai fornelli, non avrà diritti sui figli, non sarà un soggetto pari all’uomo.
2) Il secondo livello è quello del soccorso. Soccorso non vuol dire accoglienza, soccorso vuol dire soccorso. Se io assisto a un incidente stradale e non presto soccorso commetto un reato, quello di omesso soccorso. Questo non vuol dire che da quel momento la persona che devo soccorrere avrà diritto a vivere a casa mia, ma che io devo soccorrerla, a maggior ragione se ne va della sua vita.
3) Arriviamo così al caso dei fuggiaschi dalla Libia. In Libia c’è una guerra, non può esserci un porto sicuro. Non può essere dato in natura un porto sicuro in un paese coinvolto in un conflitto bellico. Questo è il primo elemento su cui si dovrebbe chiarezza. La Libia è in guerra. La sua guardia costiera è coinvolta nel conflitto, ne è parte nel senso che vi partecipa.
4) A questo punto entra in ballo l’Europa. Lo sa l’Europa che in Libia c’è un conflitto armato? E’ arrivata notizia? Si vogliono aggiornare i regolamenti comunitari in conseguenza del fatto che un Paese confinante con l’Europa è in guerra? O no?
5) Aggiornare i regolamenti vuol dire predisporre misure eccezionali, perché non è normale che un paese confinante sia in conflitto. Ma questa situazione si protrae da mesi, o forse da anni, eppure l’Europa-reale non ha fatto alcunché per avvicinarsi all’Europa-idea e offrire un appiglio non a chi cerca il diritto per trovarvi asilo, ma a chi ha il diritto ad essere soccorso mentre fugge da un conflitto, in un Paese confinante con l’Europa.
6) Questi punti qui richiamati non hanno nulla a che fare con un’altra urgenza: esiste un modo, al di là del caso libico, per entrare legalmente in Europa? Chi vuole esercitare il suo diritto a chiedervi asilo politico come dovrebbe fare? Questa impossibilità di entrare legalmente in Europa non favorirà chi vuole entrarvi illegalmente, cioè senza titoli?
7) In Europa si arriva soltanto usando reti clandestine. Non sarà il fatto di non prevedere vie legali di accesso all’Europa il vero alleato dei trafficanti di esseri umani?
8) Qui si pone il caso di lavoratori, i cosiddetti migranti economici. Non sono profughi, non sono perseguitati politici. Sono i famosi “migranti economici”. Esistono per loro quote per Paese di provenienza e di destinazione? Esiste una via di ottenimento di visti regolari? Non esiste.
9) Ogni Paese ha diritto a gestire i suoi confini e la sua politica migratoria. Bisogna dunque intervenire urgentemente per distinguere tra soccorso, accoglienza e integrazione. Il soccorso va dato a tutti come soccorso. Anche un criminale non può essere lasciato in balia delle onde del mare e non c’è bisogno di scomodare Antigone per parlarne. Ma questo non vuol dire che chi venga soccorso acquisisca il diritto ad essere accolto. Deve essere soccorso. Nessuna legge, nazionale o comunitaria, può essere superiore alla legge del mare e cancellare l’obbligo di prestare soccorso. Il soccorso una volta scampato il pericolo esce dalla mia responsabilità. A quel punto potrà chiedere di essere accolto: per definire questo bacino di possibili accolti io credo che la scelta migliore sia quella indicata da Papa Francesco quando si recò in Svezia. Accogliere chi si può integrare. In Italia ad esempio ci sono tantissime offerte di lavoro che non trovano soddisfacimento. Potremmo accogliere e quindi integrare un bel po’ di lavoratori. Per farlo tempo fa si pensò a stanziare trenta euro al giorno. Non servivano per far arricchire qualcuno, servivano per pensare percorsi di accoglienza e integrazione. Sarebbe stato bello vederli.
10) L’ultimo punto posto dal caso di Sea Watch è quello di nascondere altri punti. Come sta l’economia nazionale? Cosa si è fatto per per evitare che i nostri ospedali si svuotino non di pazienti ma di medici? Era giusto il numero chiuso? Era proprio un’esigenza? Sicuri? Questo per non dire della lotta alla corruzione, o all’evasione. O tanto altro.
11) C’è un punto però che i sostenitori dell’accoglienza devono tenere a mente. Un’ideologia antistatale nasconde un uso dei profughi e di chi ha bisogno di aiuto, pericolosa come quella che tenta di convincerci che i migranti siano la causa dei nostri mali. In questo confronto sono destinati a prevalere i secondo, e non perché siano in tanti a credere davvero negli Stati, ma perché noi vediamo non chi viene abbandonato, ma chi ce la fa e viene poi lasciato a bighellonare con mazzi di fiori o fazzoletti sotto casa nostra. Ecco perché quando spunta una foto di Aylan o di quel padre con un bambino morti al confine tra Messico e Stati Uniti l’emoziona è profonda, sincera, ma breve. Perché quella foto passa, la mancata integrazione dei migrati resta. Se il caso Sea Watch riuscirà a farci risolvere non tutti questi problemi, ma magari a farci scoprire che la Libia è un Paese in guerra e che occorre un regolamento straordinario europeo per gestire quel confine di guerra sarà stato utile. Per il resto l’esigenza che avverto è chiedere: come si può entrare legalmente in Europa, da richiedenti asilo o da aspiranti migranti?