Domenica, maledetta domenica. Quando si è votato per il parlamento europeo. O, meglio, si è votato poco. 22 milioni e mezzo (45,72%) di aventi diritto non sono andati alle urne, rasentando il 50%, in netto aumento rispetto alle elezioni politiche del 2018 e maglia nera continentale.
Il “non voto” è ormai la “normale” e fisiologica dimensione reale della principale scadenza della vita democratica. Da qui ogni riflessione deve partire. Se non si squarcia il muro della fuga consapevole e carica di significati dall’esercizio di un diritto fondamentale, non si capisce dove e come ricominciare.
Gli elementi salienti emersi lo scorso 26 maggio sono chiari e si evincono dall’analisi dell’esperto di sistemi politici Franco Astengo: rilevantissima avanzata della destra leghista e – in misura minore- di quella di “Fratelli d’Italia”; decisa flessione del “Mov5Stelle”; limitata ripresa del “Partito democratico”; sconfitta senza attenuanti de “la Sinistra”. Il Pd, ancorché il suo risultato sia stato accompagnato da un’ingiustificata enfasi, ha perso 111.545 voti rispetto al 2018. Lasciamo stare ogni raffronto con l’omologa scadenza del 2014, tuttavia il quadro non è confortante. “la Sinistra” si ferma a 465.092 voti, mentre i “Verdi” arrivano a 609.678 suffragi. C’è, poi, il simbolo di Marco Rizzo che tocca 234.232 voti.
Solo nel 2018 “Liberi e uguali” aveva ottenuto 1.114.799 consensi, e “Potere al popolo” 372.179. La “Lista comunista” 106.816 voti e “Per una sinistra rivoluzionaria” 29.364. Nel 2008 “La Sinistra arcobaleno” aveva preso più o meno lo stesso. Discorso a parte merita il caso del 2013, quando “Sinistra, ecologia e libertà” si collegò elettoralmente al Pd diretto da Pier Luigi Bersani.
E’ da aggiungere che, dall’analisi della società SWG tra chi aveva votato “Mov5Stelle” nel 2018, il 38% è rimasto pentastellato, un identico 38% si è astenuto, il 14% è andato alla Lega e solo il 4% Pd. A sinistra pressoché nulla.
Non solo. Mentre i 5Stelle non hanno soverchie differenze tra le percentuali raggiunte nei capoluoghi o nelle province, Partito democratico, “+Europa” e “la Sinistra” hanno qualche successo nelle aree urbane e assai meno nelle periferie o nei piccoli centri. Il contrario della “Lega”. Si è consumato definitivamente, quindi, il rovesciamento della e nella rappresentanza. Le anime progressiste sono state abbandonate (per loro chiare colpe) dai ceti insieme più poveri ed estranei ai flussi globali. E’ l’esito negativo del riformismo “debole”, che ha segnato gli anni ottanta e novanta. Per l’incapacità di fronteggiare tre fenomeni tra loro connessi: la caduta delle certezze del “Muro di Berlino” (criticato e odiato, ma rassicurante), la globalizzazione liberista, la rivoluzione tecnologica assolutamente sottovalutata se non incompresa. Tutto cambiava, nei modelli produttivi, di consumo, nelle culture di massa.
La piramide sociale si incupiva e cresceva, gli universi attraversati dalla crisi o devastati dall’antico colionalismo perdevano ogni fiducia in una politica lontana e vissuta come privilegio. Il bandolo non è stato ripreso, e lingua e sintassi della sinistra si sono spente.
Si tratta di chiudere definitivamente un lungo ciclo. E di riaprirlo con idee, stili e volti diversi. Ambientalisti e digitali. Capaci, senza opportunismi o retoriche, di seguire la lezione dei femminismi.
Che fare, allora? E’ difficilissimo solo capire. Tuttavia, viene in soccorso un’ipotesi che lanciò all’epoca il compianto Lucio Magri: un ”Epinay” delle sinistre, vale a dire il riferimento al congresso tenutosi nel 1971 nella cittadina francese in cui Mitterrand lanciò il percorso ricostituente dei socialisti francesi, divisi in rivoli e tribù disgregate. Il rilancio avvenne su basi culturali, prima ancora che politiche. E nacque la “forza tranquilla”.
Forse, qualcosa che assomigli a quello spirito, ibridato – per venire ai giorni nostri- con il “fantasma” dell’assemblea tenutasi nel giugno del 2017 al teatro Brancaccio di Roma. Con una proposta, però, che abbia il coraggio di varcare i soliti confini, interpellando con il megafono anche il Pd e i 5Stelle. Difficile immaginare l’esito, ma già il proporre significa selezionare domande e risposte. Ed è essenziale mettersi in un simile ordine degli addendi, naturalmente con giudizio e senza pasticci. Ma pure senza “continuismi”. Del resto, la situazione è grave e si avvicinano probabilmente elezioni anticipate. E’ fantascienza? Chissà, ma, prima di arrendersi all’ondata sovranista, pop-autoritaria, persino neo-razzista, la fantasia deve cimentarsi contro la pura logica autoreferenziale. L’Associazione per il rinnovamento della sinistra, che è nata proprio per tenere vivo il dialogo al di là delle mere appartenenze, intende rendersi disponibile a fare la sua parte. C’è da augurarsi che le numerose e valide strutture di analisi e di ricerca vogliano finalmente coordinarsi. Sena nuova teoria non c’è nuova politica. E nessuno si salva da solo, com’è noto.