“L’ora di legalità”, il programma di Loris Mazzetti su Rai 3, va in onda il 15 giugno prossimo alle ore 18 (in replica il 29 giugno alle 13) dedicata al fotoreporter Andrea Rocchelli, ucciso in Ucraina il 24 maggio 2014 insieme ad Andrei Mironov, un collega russo e attivista impegnato per il rispetto dei diritti umani. Insieme a loro c’era anche William Roguelon, fotoreporter francese (rimasto gravemente ferito), vittime di un attacco premeditato da parte dell’esercito ucraino ad Andreyevka vicino alla città di Sloviansk (Ucraina Orientale), mentre stavano documentando quanto accadeva nel conflitto del Donbass e la morte di numerosi civili. La presentazione della puntata si è svolta lo scorso giovedì 30 maggio presso la sede all’Associazione lombarda dei giornalisti di Milano (nello stesso luogo dove tre anni prima alla presenza dei genitori di Rocchelli i vertici del sindacato dei Giornalisti si riunirono per evitare che la tragedia venisse dimenticata).
Erano presenti Loris Mazzetti, il presidente della Fnsi Giuseppe Giulietti, il presidente dell’Associazione Lombarda dei Giornalisti Paolo Perucchini, il segretario aggiunto Fnsi Anna del Freo (in rappresentanza anche della Federazione europea dei giornalisti), Guido Besana (eletto nella Giunta esecutiva della Fnsi), Elisa Signori la madre di Andy Rocchelli, gli avvocati di parte civile Margherita Pisapia (in rappresentanza di Giuliano Pisapia) e in video conferenza Alessandra Ballerini (è anche legale della famiglia Regeni). Andy Rocchelli a soli 31 anni era già considerato un esperto fotoreporter capace di raccontare per immagini la realtà spesso intrisa di violenza, sopraffazione, e l’annientamento della dignità umana. L’orrore delle guerre e un’umanità dolente che subisce impotente la ferocia delle armi.
La testimonianza dei famigliari di Andrea, nell’anteprima della puntata mostrata ai giornalisti, è un esempio di come un dolore, vissuto senza mai cedere alla rassegnazione, possa farsi promotore di una cultura della prevenzione a tutela di tutti gli operatori dell’informazione. Un mondo senza informazione, scomoda per chi vorrebbe censurarla al fine di impedire la conoscenza della verità dei fatti, e per questo va difesa sempre . A dirlo è stata Elisa Signori: «La solitudine in cui vivevamo dopo la scomparsa di nostro figlio si è interrotta grazie alla rete di contatti in cui siamo stati inseriti, giornalisti impegnati a cercare le prove sull’omicidio di Andrea e Andrei, i carabinieri e i magistrati, un network di energie umane in grado di mantenere alta l’attenzione. Siamo pieni di riconoscenza per chi ci è stato vicini fin dal primo momento. In principio avevamo scelto un profilo basso per non interferire con la richiesta di rogatoria da parte della magistratura italiana verso l’Ucraina. Indagini che hanno visto molti ostacoli per la scarsa collaborazione da parte delle autorità di quel paese. Ci siamo sentiti dire che la causa di tutto era la guerra mentre in realtà stava avvenendo un’operazione di terrorismo. C’erano tanti giornalisti stranieri in quel periodo e tutti si muovevano senza incontrare ostilità, solo gli americani venivano considerati sgraditi dai militari».
Il processo in corso al Tribunale di Pavia, nei confronti dell’imputato Vitaly Markiv, un militare della Guardia nazionale ucraina, per il reato di concorso in omicidio (un cittadino italo ucraino) arriverà a sentenza nel mese di luglio. Per lui è stata chiesta una condanna di 17 anni. Il corso della giustizia ha subito ogni forma di impedimento come ha spiegato ancora la madre di Andrea: «C’erano due testimoni oculari presenti sul luogo ma non sono mai stati ascoltati in Ucraina e c’era anche l’autista che aveva accompagnato mio figlio e Andrei, che poi si è reso irreperibile. Nemmeno il reporter francese Roguelon (in Francia non è mai stato sentito e per questo ha deciso poi di rivolgersi alla magistratura italiana, ndr). Quando io e mio marito siamo andati a Napoli per l’evento dedicato al foto giornalismo e alla presentazione del programma di Loris Mazzetti (organizzato dal Sindacato dei giornalisti unitario della Campania) si è avvicinato il Console dell’Ucraina a Napoli. Il silenzio in questi anni da parte del suo paese è stato interrotto dalle sue parole di condoglianze ma non le abbiamo accettate. Il disimpegno del governo ucraino e la volontà elusiva dimostra che non si è voluti cercare la verità. Il diplomatico ha voluto scaricare la responsabilità sulle forze filo russe separatiste. Non ci importa una condanna draconiana perché non basterebbero 100 ergastoli per risarcirci della perdita di nostro figlio e di Mirnov che è stato decapitato dai colpi di artiglieria, un uomo che si impegnava molto per difendere chi soffriva, un testimone illustre del nostro tempo. Non vogliamo vendetta ma l’ammissione di responsabilità che serva ad affermare la causa della loro morte. Un crimine voluto e avvallato da chi aveva potere di farlo.
I giornalisti sono anche dei civili ed erano lì per noi. Grazie alla determinazione coraggiosa della Procura di Pavia si è arrivati all’esito finale del processo. Desideriamo che funzioni come deterrente e garantisca a tutti i giornalisti e fotoreporter la sicurezza mentre lavorano». Sono nove i giornalisti uccisi in Ucraina ma va anche riconosciuto il merito a chi per prima ha sollevato il caso di Rocchelli, quando nessuno ne parlava dopo la sua morte: Lucia Sgueglia allora giornalista de L’Espresso nel 2015 riuscì anche ad intervistare un testimone importante: «Evgeny Koshman, è l’autista che accompagnò Rocchelli, Mironov e il fotografo francese William Roguelon sul luogo della tragedia (il sobborgo di Andreevka alla periferia di Sloviansk) per scattare delle foto: “Io sono stato convocato e interrogato due volte: la prima da alcuni miliziani ribelli, subito dopo la mia uscita dall’ospedale, due settimane dopo l’accaduto”. La città era ancora in mano ai filorussi. “La seconda volta dalla polizia locale due mesi fa”, nella Sloviansk già riconquistata dagli ucraini.
Siamo tornati insieme sul luogo del delitto e ho ripetuto la dinamica dei fatti per come la ricordavo”. Nient’altro. Lo stesso Koshman, ferito nell’attacco, la sua auto semidistrutta, ha provato a sporgere denuncia in quanto vittima ma la Procura gli avrebbe risposto che era “inutile”perché “non si tratta di un caso penale ma di un caso civile”. Koshman inoltre non esclude che l’obiettivo del fuoco fossero proprio i giornalisti, dato “l’accanimento” dei colpi e la loro quantità su uno spazio dove in quel momento, a suo dire, non c’era nessun altro». La conferenza stampa è iniziata con l’intervento di Paolo Perucchini: «Il valore della libertà d’informazione è fondamentale per la difesa della professione giornalistica e noi tutti siamo vicini alla famiglia Rocchelli e alla figura di Andy. Il suo caso è emblematico per la difficoltà emersa nel ricercare la verità. Siamo parte civile al processo e grazie al sostegno di tutti è stato possibile far conoscere la sua vicenda agli italiani. Giuseppe Giulietti definisce questo impegno come «un viaggio di una comunità» e ha ricordato come Loris Mazzetti sia uno dei fondatori di Articolo 21 e storico collaboratore di Enzo Biagi. «La puntata de L’ora della legalità comprenderà anche le drammatiche vicende di Enzo Baldoni (giornalista) e Raffaele Ciriello (fotoreporter) che non hanno mai ricevuto giustizia. C’è ancora una parte di servizio pubblico radiotelevisivo che fornisce spazio per raccontare la verità. Voglio anche ringraziare Radio Radicale per la loro presenza e la ferma denuncia contro la volontà di farla chiudere, così anche per Avvenire, i giornali diocesani. Annuncio anche la volontà di ricordare Walter Tobagi, la cui morte avvenuta 40 anni fa ricorre nel 2020, un assassinio che non deve essere dimenticato. Non dobbiamo ricordarlo con semplici servizi giornalistici ma con una manifestazione nazionale. Non serve la sola commemorazione vogliamo garantire verità e giustizia. Il concetto di “scorta mediatica” serve a riprendere le inchieste per “illuminare” i colleghi che non ci sono più. Non giudico le sentenze e il lavoro dei magistrati anche se qualcuno chiama quello che facciamo “circo mediatico”; a noi interessa la difesa della dignità e della libertà. Anche la morte di Antonio Russo di Radio Radicale è rimasta senza la verità. Desidero esprimere un grazie collettivo ai giornalisti, agli inquirenti e magistrati seri che si sono sempre impegnati per far si possa fare giustizia. Al Sindacato dei giornalisti e agli avvocati e soprattutto alla famiglia Rocchelli che ci ha onorati della possibilità di partecipare».
Loris Mazzetti nel presentare il suo programma ha spiegato anche la variazione della data (inizialmente prevista per il 9 giugno), per un cambio di palinsesto della Rai. «La puntata sull’omicidio Rocchelli verrà mandata in onda il 15 giugno alle 18 e in replica il 29 alle 13. L’ora della legalità dalla prima puntata veniva trasmessa dopo la mezzanotte. Il centralino della Rai ha ricevuto molte telefonate di proteste da parte degli spettatori che chiedevano di spostare l’orario. Da quel momento è stata deciso di replicare il sabato alle 13. Mi era stato proposto di tornare su Rai 3 come vicedirettore ma ho scelto di non accettare l’incarico, optando per fare un mio programma in ricordo di quelli che realizzavo con Enzo Biagi. Stefano Colletta direttore di Rai 3 mi ha manifestato un’adesione totale alla mia idea di parlare di legalità. Dovrebbe tornare ad essere studiata a scuola come materia d’insegnamento. Abbiamo realizzato puntate parlando con Don Luigi Ciotti, Vasco Rossi, ricordando Vittorio Arrigoni (giornalista, scrittore, attivista per i diritti umani venne rapito e assassinato nel 2011 a Gaza, ndr). Non dimentichiamo mai la sua celebre frase “restiamo umani”(nel 2009 pubblicò il libro Gaza Restiamo umani, raccolta dei propri reportage, ndr). Se torneremo in onda anche l’anno prossimo dedicheremo una puntata a Walter Tobagi e sulla libertà dell’informazione di stampa. Enzo Biagi, nel programma “Rotocalco televisivo” parlò di dovere diritto di informare ed essere informati nella puntata “Resistenza e resistenze”». Ma c’è anche chi denigra il dovere di fare una buona informazione e non si sottrae al rischio di perdere la vita, venendo denigrato, insultato e offeso anche dopo la sua morte. Come è accaduto ad Enzo Baldoni – citato da Loris Mazzetti: «Vittorio Feltri su Libero scrisse che “ se l’era cercata!”, questo spiega bene come tra chi fa il nostro mestiere ci sono quelli di serie A (gli inviati al fronte) e quelli di serie B (i free lance) liberi professionisti obbligati a vendere i servizi e i reportage. Ci sono colleghi che muoiono due volte: prima fisicamente e poi vengono dimenticati. Perché questo non accada è il filo conduttore del programma L’ora della legalità. Voglio esprimere il mio più sentito ringraziamento agli avvocati che mi hanno parlato di Andrea Rocchelli, alla sua famiglia per la disponibilità di aprire il loro cuore e i ricordi legati al loro figlio. Non dimentichiamoci di loro perché non basta solo ricordare date e anniversari». Anche Anna Del Freo ha sottolineato come sia «un concetto orribile affermare “se l’è cercata” ed è quello che è stato detto anche nei confronti di Daphne Caruana Galizia la nostra collega assassinata in un attentato a Malta».
«Non basta solo il ricordo e non serve avere il tesserino dell’Ordine per essere classificati giornalisti, come nel caso di Antonio Megalizzi – ha ribadito Giuseppe Giulietti – quando l’impegno dimostrato da chi ha perso la vita, mentre ci raccontavano cosa accadeva nel resto del mondo, è fare informazione, giornalismo a tutti gli effetti». E così faceva anche Andrea Rocchelli nel ricordo della mamma Elisa Signori che gli spettatori potranno ascoltare su Rai 3: «Mio figlio aveva deciso di partire per l’Ucraina perchè aveva capito che in quel paese stava accadendo qualcosa di grave e importante. Era amico di Andrei Mironov e le loro competenze li legava ulteriormente senza mai essere di parte come ha sempre fatto Andrea nel registrare quello che vedeva. Il suo metodo si basava sullo studio e sulla documentazione. Il suo impegno civile lo aveva portato anche in Africa come volontario ma non era un buonista, sceglieva di stare accanto a persone che non avevano la possibilità di esprimersi e aveva nei loro confronti uno sguardo amico. Con gli altri suoi colleghi aveva fondato il gruppo Cesura e le ultime foto che abbiamo di lui sono quelle scattate mentre venivano bombardati. Sono state ritrovate due anni fa. Ora chiediamo solo il riconoscimento delle responsabilità. La Corte del Tribunale di Pavia ha riconosciuto la tutela dei giornalisti e la libertà di stampa. Voglio ringraziare anche tutti i giornalisti che hanno ricostruito la vicenda e sono andati sul luogo dove è stato assassinato Andrea e Andrei per recuperare i loro corpi». Anche la sorella Lucia è stata intervistata da Loris Mazzetti: «Deve restare la memoria collettiva di quanto accaduto. Noi famigliari abbiamo voluto condurre delle indagini parallele e ci ha sconvolto vedere le fotografie di mio fratello proiettate al processo dove si vedono scene di tortura, spari contro i civili». L’avvocato Alessandra Ballerini ha spiegato, infine, «come sia stato chiamato in causa il governo ucraino e che che L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) ha documentato 300 casi di violenza nei confronti dei giornalisti in quel periodo in Ucraina. L’imputato Vitaly Markiv aveva un ruolo di comando nella Guardia Nazionale e dava ordine ai suoi subalterni. È dimostrata l’inerzia e le prese in giro del governo di quel paese che ha rallentato ogni tipo di accertamento perfino all’atto dell’autopsia sul corpo di Andrea».