Le coincidenze a volte aiutano a capire meglio, svegliano qualche neurone in più. E’ una coincidenza, per noi italiani, che la 53esima Giornata mondiale per le Comunicazioni sociali capiti in sovrapposizione alla Festa della nostra Repubblica. Ma il ‘caso’ permette di cogliere in maniera più profonda il titolo che papa Francesco ha voluto dare al suo Messaggio per la Giornata di quest’anno: “Siamo membra gli uni degli altri”, come dice san Paolo. Dunque lo sta ricordando solo ai cristiani?
Proprio no. Quel titolo parla a chiunque abbia a cuore quella che oggi chiameremmo – san Paolo non si dispiacerà dell’attualizzazione – “coesione sociale”. Cioè il valore che, da cittadini di questa Repubblica, festeggiamo oggi, riconoscendoci nei simboli della democrazia che insieme abbiamo saputo faticosamente costruire dal 1946 a oggi. Quel valore al quale non smette di richiamarci con insistenza quasi quotidiana il presidente Mattarella, che ancora ieri – in riferimento al significato del 2 giugno – è tornato a ricordare che “libertà e democrazia non sono compatibili con chi alimenta i conflitti, con chi punta a creare opposizioni dissennate fra le identità, con chi fomenta scontri, con la continua ricerca di un nemico da individuare, con chi limita il pluralismo.”
Un corpo sociale non può reggere alle lacerazioni continue, agli strappi di cui anche la comunicazione sa essere troppo spesso efficacissimo strumento. Lo vediamo sempre più chiaramente nell’epoca della Rete. Per questo, di anno in anno, il Messaggio è indirizzato a una platea sempre più vasta. Non solo supera la distinzione tra credenti e non credenti, ma travalica anche le barriere di presunti ‘recinti professionali’ che l’età dei social si è incaricata di abbattere. Il pc e lo smartphone danno a tutti, giornalisti o no, il potere e la responsabilità dei comunicatori.
Nessun anatema nelle parole di papa Francesco, anzi: “la rete è una risorsa del nostro tempo. E’ una fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili”. E’ la sua irrinunciabile ricchezza e bellezza. Ma questo non impedisce di coglierne i pericoli: “distorsione consapevole e mirata dei fatti e delle relazioni interpersonali”, “contrapposizione nei confronti dell’altro”, “spirali di odio”. Contrastare questo clima, provare a far calare la marea montante dell’hate speech è il compito che ci siamo dati tutti insieme quando abbiamo approvato la Carta di Assisi, impegnandoci ad una comunicazione capace di “connettere le persone” in un senso ben più che tecnologico: come scrive Francesco, si tratta di passare “dalle social network communities alla comunità umana”. Costruire comunità, far dialogare i diversi punti di vista, è l’unico modo per dare sostanza vero al termine pluralismo, che altrimenti rischia di ridursi ad una rissosa convivenza di tante diverse “camere dell’eco”, di tante tribù in cui ognuno si ritrova coi propri simili a darsi ragione l’un l’altro e a rafforzarsi nei propri pregiudizi.
Roberto Natale, coordinatore del Comitato tecnico-scientifico di Articolo 21