Caso Orlandi: quei depistaggi con troppe “coincidenze”

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Due nomi, un’unica madre. E tante, troppe, “coincidenze”. Confrontando il modus operandi dei molteplici soggetti depistanti le indagini sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, emerge una stretta parentela fra due di loro, entrati in scena tra l’agosto e il settembre 1983: il Fronte Anticristiano di Liberazione Turkesh e Phoenix. E ad affratellarli, nemmeno a farlo apposta, un indizio d’importanza macroscopica per la soluzione del caso: l’ultima persona insieme a Emanuela prima che sparisse per sempre, la “rosa blu” di corso Rinascimento.

Giovedì 22 settembre 1983 all’Ansa di Milano, dopo un silenzio quaresimale, con una lettera che farneticava il rilascio della cittadina vaticana in cambio della liberazione di Alì Agca, riapparve il Fronte Turkesh. Per accreditarsi attendibile, quell’entità ignota anche ai nostri servizi segreti militari elencò venti particolari riferiti alla giovane. Fra questi, alla lettera ‘d)’, si legge: “La ragazza coi capelli neri e ricci che sembrava sua amica”. Fin troppo chiaro il riferimento alla studentessa della scuola di musica frequentata anche dalla Orlandi e in sua compagnia fino all’attimo fatale. Perché proprio così l’aveva descritta agli inquirenti un’altra loro allieva, Maria Grazia Casini, il precedente 29 luglio: “Questa ragazza ha circa 15 anni, poco più bassa di Emanuela, con i capelli corti, riccia e di colore nero”.

Sempre quel 22 settembre le luci si accesero anche per una nuova enigmatica sigla: Phoenix. Nella sua prima lettera, rinvenuta nella basilica dei SS. Angeli e Martiri (zona stazione Termini), fra vari elementi della vicenda citati con una prosa allusiva, anche “tradimento di persona amica” e “nei comunicati indizio”. Affermazioni già di per sé eloquenti – nei “komunicati” Turkesh fin lì giunti c’era solo un rimando al giorno della scomparsa ed era proprio la “rosa blu” – e rinvigorite da un’altra, presente nella seconda lettera Phoenix (24 settembre, chiesa di S. Maria della Mercede, viale Regina Margherita): “Prelevamento che è stato molto semplice e rapido con l’uso di persona amica”. 

Ora, se “tre indizi fanno una prova”, qui c’è di più. Perché, oltre alla consanguineità tra Phoenix e Turkesh si osserva come la loro azione ricalcò quella di altre torbide figure, entrate in campo fino a quel momento e configuranti l’esistenza di un’unica regia deputata a confondere le acque. Una regia abile ed esperta. Come facevano, infatti, Phoenix e Turkesh a conoscere un particolare-chiave come la “rosa blu” mai uscito sulle cronache? Come mai la chiamarono in causa proprio quando comparvero in contemporanea? Perché il Turkesh la definì con espressioni molto simili a quelle della Casini sopracitate? Solo un caso che nella circostanza si comportarono come “Pierluigi”, il primo telefonista di casa Orlandi, dimostrandosi come lui in possesso d’informazioni conosciute solo dalla famiglia (che stava in Vaticano) e dalle forze dell’ordine? Tra l’altro, a “Pierluigi” si accompagnò “Mario”, il secondo telefonista di casa Orlandi, altrettanto ben al corrente su particolari di Emanuela estranei all’opinione pubblica. Citato da Turkesh e da Phoenix nei loro scritti, il tandem faceva capo a “l’Amerikano”, l’indecifrabile telefonista dal finto accento anglosassone, che nelle sue chiamate ai famigliari menzionò altri aspetti di Emanuela, come l’amore per le canzoni di Baglioni, che solo loro potevano conoscere. Anche questi collegamenti e queste analogie comportamentali hanno le sembianze solo di una semplice “coincidenza”?

Phoenix delegittimò Turkesh, definendolo “farsa turca” e contrapponendo l’ipotesi che la scomparsa di Emanuela Orlandi fosse addebitabile a un movente sessuale: “Traffico internazionale bambole” scrisse nella lettera dell’8 ottobre 1983, alludendo a storie di prostituzione (o di pedofilia?). Ma col rimando alla “rosa blu” svelò invece la sua parentela col Fronte. E non fu un caso, bensì la scelta di chi aveva un fine ben preciso: mandare in tilt le indagini. Un obiettivo raggiungibile abbinando elementi attendibili ad altri fasulli o screditandoli. Come fece Phoenix con la “rosa blu”, dipinta non come una testimone, ma come una mente diabolica che avrebbe attirato Emanuela in una trappola. Roba da film. O, per l’appunto, da professionisti della disinformazione.

Ci si è chiesti chi si nascondesse dietro quelle sigle e per anni si è detto che il Turkesh fosse opera della Stasi, la polizia segreta dell’ex Germania Est. Ma non è vero. Dalla consultazione dei loro documenti ci sono prove d’interferenze su altre questioni vaticane dell’epoca, tipo l’attentato al Papa, ma non su Emanuela Orlandi. Un argomento assente anche nei dossier dei loro infiltrati al tempo fra le Sacre Mura (gli agenti Antonius e Lichtblick) e sul quale i dubbi sono fugati dall’audizione al cospetto del giudice Priore, quindi passibile di sanzione penale in caso di menzogna, di uno degli ufficiali del reparto della Stasi addetto al depistaggio, l’ex colonnello Günther Bohnsack. Che escluse azioni su Emanuela Orlandi –“No. Ho solo sentito dire che c’era chi sosteneva che erano stati i ‘Lupi Grigi’ a rapire quella donna” rispose alla domanda: “A proposito di questa disinformazione, c’era anche un’azione relativa al rapimento di Emanuela Orlandi?” – mentre non ebbe problemi a riconoscerle per gli spari a Wojtyla: “Dovevano essere messe in giro […] delle voci sul concorso della CIA all’attentato. Questo modo di procedere avrebbe dovuto essere collegato a persone e fatti concreti. Falsificazione di lettere, produzione di lettere fittizie”.

Su Phoenix, rimasto nelle tenebre anche dopo la sua fugace quanto significativa apparizione, la requisitoria del sostituto procuratore generale Giovanni Malerba recita: “È davvero singolare […] la circostanza che le ‘prove documentali’ della disponibilità dell’ostaggio fossero in possesso non soltanto di taluno dei gruppi che rivendicavano il sequestro, ma altresì del contrapposto gruppo Phoenix”. 

E se ripensiamo al rosario di “coincidenze” fin qui sgranato, si corre subito alle “menti raffinatissime” evocate da Giovanni Falcone. Esseri umani di elevate capacità intellettuali, che si attivano per “avvertire”, se non eliminare, qualcuno per loro scomodo. O, come in questo caso, per impedire la scoperta di una verità scomoda. Altrimenti perché mai alzare così tanta nebbia sulla scomparsa di una ragazzina di quindici anni?


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