I numeri degli arrivi, mai così bassi. Stando ai dati diffusi dal Viminale sono 2.144 le persone arrivate in Italia dal 1 gennaio al 10 giugno 2019, l’85 per cento in meno rispetto al 2018, il 96 per cento rispetto al 2017. Uno dei numeri più bassi degli ultimi anni e frutto di una serie di eventi correlati: innanzitutto la linea dura del governo giallo verde, che ha apertamente contrastato gli sbarchi, da un anno a questa parte. Era il 10 giugno 2018 quando con un tweet il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, dichiarava che i porti italiani erano chiusi alle navi delle ong, costringendo di fatto, dopo giorni di attesa con 629 persone a bordo, la Aquarius di Sos Mediterranèe ad andare in Spagna. Ma a ridurre gli arrivi in Italia ha contribuito anche l’attività della cosiddetta Guardia costiera libica, che dall’inizio dell’anno ha riportato indietro a Tripoli 2.747 persone (dati Unhcr aggiornati al 10 giugno) tra cui circa 270 bambini. Nei fatti, sono ad oggi di più le persone costrette a tornare nel paese da cui cercano di fuggire, e dove sono in corso violenti scontri, nonostante tutte le organizzazioni internazionali abbiamo ormai formalmente dichiarato che la Libia non può essere considerato un porto sicuro. Infine, da almeno due anni, si è intensificato l’impegno del nostro paese per bloccare i flussi nei paesi di origine e transito dei migranti. Come testimonia il report “Sicurezza e migrazione: tra interessi economici e violazione dei diritti fondamentali. Il caso di Niger Egitto e Libia”. Il documento analizza il capitolo italiano ed europeo dei fondi sulla sicurezza sia aumentato vorticosamente ed abbia sempre più interessato la gestione delle frontiere all’interno e all’esterno dello spazio europeo: impegnate nel controllo delle frontiere dalla Libia al Niger, con il rafforzamento del ruolo dell’Agenzia Frontex nelle operazioni di rimpatrio e di meccanismi di interoperabilità dei sistemi di identificazione. “A farne le spese sono i migranti – spiega Sara Prestianni di Arci nazionale, curatrice del rapporto – obbligati a rotte sempre più pericolose e lunghe, a beneficio di imprese nazionali, che del mercato della sicurezza hanno fatto un vero e proprio business, e di politici che sull’immaginario dell’invasione basano i loro successi elettorali”.
I pull factor smentito dai fatti: gli sbarchi fantasma e le partenze dalla Libia. Una serie di fattori che contribuiscono, nei fatti, a smentire il cosiddetto pull factor, cioè il fattore di attrazione che la presenza di navi di soccorso opererebbero come spinta alle partenze. Come spiega Matteo Villa, ricercatore di Ispi (Istituto per gli studi politici internazionali), tra il 1 maggio e il 7 giugno sono partite dalla Libia almeno 3.092 persone. 379 sono partite quando le ong erano al largo delle coste libiche, 2.713 invece, hanno preso il largo nonostante non ci fosse nessun assetto europeo (pubblicamente) in mare a fare ricerca e soccorso. Sulla stessa scia anche Carlotta Sami, portavoce di Unhcr, che in un tweet del 7 giungo scorso scrive: “700 persone alla deriva in 24 ore nel Mediterraneo. Non parliamo per decenza di pull factor. Nessuna ong può essere presente. E ancor peggio nessun sistema di soccorso. Stiamo perdendo vite umane e l’esperienza preziosa di anni di salvataggio che rendevano onore a chi li faceva”. Inoltre, le cronache registrano una serie di arrivi con micro imbarcazioni, non solo sulle coste della Sicilia, ma anche della Calabria e della Puglia. Sono i cosiddetti sbarchi fantasmi, così chiamati perché… Continua su redattoresociale