Ascia Nera e l’inferno italiano

0 0

di Leonardo Palmisano

fotoblog15-Palmisano

Leonardo Palmisano, scrittore, Ascia Nera, Fandango Editore

Ascia Nera (edito da Fandango) è l’esito di un’inchiesta durata tre anni, che ha coinvolto oltre duecento testimoni privilegiati, tra nigeriani residenti in Africa e in Italia.
Il libro parte da questa ipotesi: l’esclusione sociale ha favorito e favorisce la crescita ed il radicamento mafioso nigeriano. Nei diversi capitoli del libro, gli incontri e le testimonianze raccolte disvelano l’esistenza di un sistema dotato di relativa autonomia territoriale in un quadro di grande miseria e brutalità. Soprattutto le ragazze hanno descritto la loro condizione come perfino peggiore di quella di provenienza.
Un inferno italiano successivo ad altri due inferni almeno: quello nigeriano e quello libico. Il sistema si organizza per cosche che hanno testa in Africa e tentacoli in Europa, grande capacità di adattamento e straordinario intuito per gli affari. Ascia Nera (Black Axe) è sorta nell’università di Benin City nel 1977, ma viene registrata in Nigeria sotto il nome di Neo Black Movement. Questo doppio livello di denominazione serve per distrarre gli investigatori europei o per indurli a sottovalutare la portata intercontinentale dell’organizzazione. I picciotti, African Youth Empowerment (Aye), sono le braccia violente di una mafia nella quale il legame di sangue non ha senso perché il gruppo di appartenenza non è la famiglia, ma un lignaggio ‘spirituale’ fondato su alcuni riti (differenziati per genere) e sulla mobilità sociale interna alle cosche. Come hanno raccontato i piccoli e medi Aye incontrati, l’affiliazione in Italia avviene con un’iniziazione sanguinaria che va sotto il nome di Play Hit: il ferimento a coltello (in Africa la prova è spesso un assassinio) di un Injew, di un affiliato ad un sistema avversario.
Injew sono i Tingo (o Bird) della confraternita degli Eiye e i Baggers di quella dei Sealords (o Buccaneers). Normalmente le affiliazioni sono precedute dall’assunzione di bombe stupefacenti o di intrugli chiamati Kokoma. Il grande capo di Ascia Nera in Nigeria è un ingegnere, quel Felix Kupa eletto dalle commissioni dei Lord (gli affiliati che contano). I Lord bilanciano il potere del portavoce Kupa con almeno tre commissioni di governo e grazie al controllo dell’articolazione territoriale degli Aye. Fuori della Nigeria, il Neo Black Movement si diffonde per Zone che hanno la funzione di strutturarsi intorno alle forme criminali dell’economia locale: sfruttamento della prostituzione, narcotraffico e spaccio, furto e ricettazione, sequestro, usura e omicidio.
I business organizzati e gestiti dagli Aye raccontano le diversità tra Ascia Nera in Africa ed Ascia Nera nel mondo bianco. In Africa l’organizzazione gode di coperture di alto livello, grazie alla corruzione e all’uso della minaccia. Il sistema contrabbanda petrolio con gli indipendentisti del Mend (il movimento armato per la liberazione del delta del fiume Niger dalle multinazionali dell’oro nero), ricicla denaro sporco in attività imprenditoriali sostenute dal governo, rapisce o compera ragazze da immettere nei bordelli delle più grandi città, importa cocaina dai narcos messicani (alcuni dei quali insediati da tempo in Nigeria) e fa arrivare nei porti sudafricani eroina gialla sintetizzata in Pakistan. In Italia si occupa per lo più di tratta, sfruttamento del sesso di strada e spaccio. La diffusione dell’organizzazione nella Penisola è vastissima: dalle piazze romane del sesso alle baraccopoli foggiane, dal quartiere Ballarò di Palermo a vaste aree di smercio di droga in Emilia Romagna e Lombardia, dai palazzi occupati a Torino ai Cara e ai Cas più degradati del Sud.
La notevole disponibilità di giovani, una pressione demografica fuori dal comune, fanno della Nigeria il terreno ideale per una mafia che si inserisce nel mercato criminale europeo, egemonizzandone i bassifondi a danno di altre organizzazioni come quelle romene e bulgare. Black Axe riesce a infiltrarsi e a radicarsi, grazie a consorterie create ad arte con alcune cosche italiane: quelle di Camorra nel territorio di Castel Volturno, quelle del Gargano nel foggiano, quelle di Cosa Nostra a Palermo e a Catania.
Nei dialoghi di cui si compone il libro, gli appartenenti alludono a un rapporto privilegiato con gli italiani che contano. Lo dicono le schiave del sesso, che temono la reazione violenta dei mafiosi bianchi in caso di sgarro. Lo dicono gli Aye, quando raccontano a chi si rivolgono per comprare marijuana e cocaina all’ingrosso. Soprattutto appare nitida l’incapacità dell’Italia di produrre argini alla proliferazione delle mafie sul territorio. I nigeriani si aggiungono ai sistemi stranieri già presenti, approfittando dell’aumento evidente della domanda di sesso e droga a più basso costo. Lavorano sui grandi numeri, non sulla qualità, e ci tengono a ribadirlo. Infine, quando penetrano nei luoghi dell’accoglienza (reclutando mendicanti o recuperando prostitute), i mafiosi nigeriani sono la risposta criminale a una domanda di assistenza, tutela e identità negata dal welfare italiano. Sono quel tentacolo mafioso in più che si insinua prepotentemente nelle fratture sociali, approfittando della fragilità per ricattare i propri simili. Come fanno sempre tutte le mafie.

Da mafie


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21