Il Centro Astalli esprime seria preoccupazione per le 43 persone, tra cui un minore non accompagnato di 12 anni, a cui da diversi giorni viene impedito di approdare in un porto sicuro, che di certo non è la Libia. “Si tratta – si legge in una nota del Centro – di un gruppo di naufraghi, in condizione di grave vulnerabilità, da giorni ormai in mare. Risultano stremati, provati da un viaggio che dai loro Paesi di origine, passando attraverso le torture che dichiarano di aver subito in Libia, sembra non volersi concludere per la cieca ostinazione di un’Europa che si chiude su se stessa. Ecco che questa vicenda, la prima dall’entrata in vigore del decreto sicurezza-bis, evidenzia con cinica semplicità cosa significhi assimilare i problemi di sicurezza interna al tema delle migrazioni forzate e in cosa consista la sistematica criminalizzazione della solidarietà”.
“Ancora una volta si gioca con la vita dei migranti che releghiamo ai confini, smarrendo così la nostra umanità e rischiando di segnare un punto di non ritorno per Stati che si vantano di essere civili. È necessario trovare soluzioni permanenti alla crisi dei rifugiati, sfida del nostro tempo. Sono infatti ormai 70,8 milioni le persone in fuga nel mondo, la metà dei quali minori. 4 rifugiati su 5 vivono negli stati confinanti con il proprio paese di origine, per lo più paesi in via di sviluppo. Nel frattempo occorre dare segnali di scelte politiche serie, prudenti ma umane e solidali.
Sarebbe non un gesto di debolezza, ma un gesto di vera umanità – dichiara padre Camillo Ripamonti, Presidente del Centro Astalli – se la Giornata Mondiale del Rifugiato 2019 potesse celebrarsi anche con quelle 43 persone accolte in uno dei nostri porti. Forse questo vorrebbe dire che non tutto è perduto”.