“Sono stato salvato per la seconda volta. La prima è quando sono arrivato sano e salvo a Lampedusa. La seconda è ora: grazie all’aiuto di tante persone, sono riuscito a trovare una nuova famiglia, ad avere una nuova quotidianità. La parte più bella della giornata è quando sento aprire la porta e vengo travolto dall’entusiasmo di Daniele e Giosuè (sei e tre anni, ndr) che mi chiedono di giocare a nascondino. Per me è come tornare indietro nel tempo, a quando io e i miei fratelli ci rincorrevamo per casa o inventavamo mondi fantastici da esplorare”. Sanna viene dal Gambia e, a causa del decreto sicurezza, rischiava di non avere più un posto dove dormire. Costretto ad abbandonare il Centro di accoglienza straordinaria dove aveva trascorso gli ultimi due anni e non potendo accedere allo Sprar, il ragazzo è stato accolto da Michela, Andrea e i loro due figli.
La buona notizia, arrivata proprio ieri, Giornata mondiale del rifugiato, è che circa 600 famiglie italiane negli ultimi mesi si sono rese disponibili per ospitare un rifugiato, nell’ambito del progetto Refugees Welcome Italia. Le motivazioni sono diverse, ma per tutte l’accoglienza è “uno dei modi per dire basta alla costruzione della paura e dell’odio per l’altro”. D’altro canto, i numeri registrati nel dossier che la Caritas italiana pubblica ogni anno in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, ci riportano l’idea di un fenomeno di dimensioni preoccupanti, che non può certo essere affrontato con slogan e tweet. Dal 2011 il numero dei rifugiati nel mondo è in costante aumento; nel 2018 (dati UNHCR) ha superato i 70 milioni. La Siria mantiene il primato del Paese con il più alto numero di persone riconosciute come rifugiati, oltre 6,7 milioni: quasi 3,6 milioni in Turchia, circa un milione in Libano, poco meno di 700mila in Giordania, la restante parte in Europa. Si stima inoltre che 40,3 milioni di persone – uomini, donne, bambini – sono costretti a vivere una qualche forma di moderna schiavitù perché nel corso del loro viaggio finiscono nelle mani di trafficanti. Il 66% delle vittime identificate in Europa sono donne; sono loro che patiscono maggiormente per violenze ed abusi, sia nella fuga che durante la permanenza nei campi profughi e nei centri di accoglienza. La tipologia dello sfruttamento delle vittime è in primis lavorativa (53%), mentre il 43% è finito nelle maglie del mercato del sesso. Per quanto riguarda il lavoro forzato, il 38% delle persone è nell’edilizia, il 20% in ambito manifatturiero, il 18% in agricoltura. Le cause della fuga sono molteplici, ma prevalgono guerre e instabilità. Non va poi dimenticato il problema ambientale: la desertificazione che avanza, il surriscaldamento del pianeta che porta con sé eventi catastrofici, l’innalzamento del livello dei mari… tutto questo ha determinato la nascita di una nuova tipologia di migrante: il migrante ambientale.