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Turchia, nuova udienza per Meşale Tolu e altri colleghi accusati di terrorismo. Respinta richiesta di rimuovere divieto di viaggio

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Il 17 dicembre del 2017 dopo 230 giorni di carcere Meşale Tolu, giornalista e interprete turca con nazionalità tedesca, lasciava la prigione in cui era detenuta insieme al figlio di due anni.
Da quel giorno, nonostante la doppia nazionalità turco – tedesca, non ha potuto mai lasciare il Paese ed è da allora sottoposta a regime di libertà condizionata.

Oggi a Istanbul è ripreso il processo che la vede imputata insieme ad altri 26 tra giornalisti e attivisti per “partecipazione a organizzazione terroristica” e “propaganda del terrorismo”.
La nona udienza si è conclusa con la decisione della Corte di respingere la richiesta dei difensori di rimuovere il divieto di viaggio e il rinvio del dibattimento a ottobre.
Misura che è stata imposta anche al marito della Tolu, Suat Çorlu, al quale è stato sequestrato il passaporto appena arrivato all’aeroporto per seguire l’udienza della moglie.
A darne notizia lei stessa sul suo profilo Twitter, ribadendo che nonostante tutto continueranno a lottare per la libertà e la giustizia.
La Tolu, poco più che trentenne, lavorava in Turchia per l’agenzia di stampa Etha, quando il 30 aprile del 2017 fu arrestata per terrorismo come la maggior parte delle persone coinvolte nella stessa inchiesta alle quali vengono attribuiti legami con il Partito Comunista Marxista Leninista di Turchia e Nord Kurdistan.
La Tolu rischia 15 anni di reclusione. Secondo la tesi accusatoria oltre a essere membro di  un’organizzazione terroristica avrebbe sostenuto i promotori del tentativo di golpe del luglio 2016.
Con lei sono finiti in carcere anche i colleghi di Haberturk Tv Abdullah Kılıç, coordinatore delle trasmissioni, e Erkan Acar, Ali Akkuş, direttore del quotidiano Zaman, Atilla Tas, ex cantante e editorialista del giornale Meydan, Fırat Çulhaoğlu, capo editorialista della rivista di sinistra Gökçe, Cihan, Hüseyin Aydın e Yeni Şafak di Cihan news agency, lo scrittore Murat Aksoy, l’editor Özgür Düşünce, Seyid Kılıç giornalista di TRT News, Yakup Çetin, cronista giudiziario di Zaman e Yetkin Yildiz, caporedattore del sito di notizie Aktif Haber.
Sono almeno 158, ad oggi, gli operatori dell’informazione detenuti in Turchia che si è trasformata nella “più grande prigione per giornalisti”, non solo turchi.
Nei mesi scorsi Articolo 21, che segue e denuncia da tempo le azioni di Erdogan per imbavagliare le voci critiche del regime, ha rilanciato l’appello a tenere alta l’attenzione sulle repressioni e le violazioni dei diritti nei confronti dei giornalisti alle quali si sono aggiunte nelle ultime settimane innumerevoli aggressioni. Tre in dieci giorni, l’ultimo a essere aggredito il caporedattore del giornale Güney Haberci, Ergin Çevik, picchiato da 3 uomini ad Antalya. Sembra sia stata una vera e propria spedizione punitiva. Una ritorsione per un’inchiesta sulla gestione illecita di un mercato e di aree pubbliche che la municipalità di Kemerağzı-Kundu, nel distretto di Antalya, avrebbe lasciato in comodato d’uso gratuito ai proprietari dell’Orion Bazaar. Il giornalista nella sua inchiesta aveva fatto cenno a episodi di corruzione.  Non glie l’hanno perdonata.


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