Le forze che hanno animato le rivolte in Sudan contro il presidente Omar Hassan al Bashir continuano la loro protesta per ottenere l’avvio di un governo civile. Da due giorni è in corso nel Paese uno sciopero generale che ha coinvolto tutte le categorie, dai medici agli insegnanti. dagli agricoltori ai bancari, e molte altre. Nessuna esclusa.
A un mese e mezzo dal golpe militare che ha portato alla destituzione dell’ex dittatore, la coalizione formata dall’Associazione dei professionisti sudanesi e dai partiti di opposizione rivendica il risultato della fine del regime grazie alle proteste pagate con il sangue di 94 vittime e richiama il Consiglio militare transitorio a rispettare l’accordo per la nascita di un esecutivo senza presenza militare e i termini fissati per la spartizione del potere nel periodo di transizione a guida civile.
Ma non tutta l’opposizione del Sudan è compatta.. In una dichiarazione diffusa
ieri, il partito guidato dall’ex primo ministro Sadiq al Mahdi ha dichiarato che l’arma dello sciopero generale “dovrebbe essere utilizzata in determinate circostanze concordate dalle parti e decisa, se necessario, da un Consiglio direttivo per la libertà e il cambiamento”.
La presa di posizione è stata fortemente criticata dalle altre forze di opposizione, secondo cui la decisione era stata presa “in modo collegiale e approvata dal rappresentante del partito di Al Mahdi.
Nonostante la spaccatura, l’Associazione dei professionisti sudanesi che guida l’azione di protesta lo sciopero sarà un successo.
“Ci aspettiamo una grande partecipazione. E’ un avvertimento alle forze armate perche’ accelerino il trasferimento del potere”, ha affermato in una nota Rashid Saeed, portavoce della Spa.
Alla mobilitazione hanno aderito, tra gli altri, i dipendenti del settore petrolifero e del gas, dell’autorità portuale, i veterinari e gli avvocati.
Nel frattempo, il portavoce del Tmc, Shams al Din al Kabbashi, ha dichiarato che i negoziati con i leader dell’opposizione sono lenti a causa delle divergenze che ancora permangono sulla spartizione del Consiglio sovrano (l’organismo incaricato di guidare il governo durante il periodo di transizione). Il principale punto di contesa resta, in particolare, la presidenza e il numero di rappresentanti che ciascuna parte dovrà avere in seno al Consiglio, di cui ciascuna parte rivendica la maggioranza.
Nelle scorse settimane le due parti hanno raggiunto un primo accordo convenendo che il periodo di transizione sarà di tre anni e che il governo transitorio sarà interamente formato dalle Forze per la libertà e il cambiamento e che la maggioranza (il 67 per cento) dell’Assemblea legislativa
di transizione sarà riservata ai gruppi di opposizione.
A preoccupare è quel 33% non ben definito che potrebbe nascondere il ritorno in Parlamento di esponenti islamisti pronti a far deragliare in qualsiasi momento il processo democratico che le Forze per le libertà e il cambiamento tanto faticosamente stanno cercando di avviare.
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