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Strage Piazza della Loggia. 45 anni dopo. La storia di Redento

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“Gnaro vé dènter che ‘l  piöf)  (ragazzo vieni dentro  che piove) dice in dialetto bresciano Bartolomeo Talenti a Redento Peroni un ragazzo di 36 anni, padre di tre figlie. È questo l’ultimo ricordo prima dello scoppio della bomba avvenuto in piazza della Loggia la mattina del 28 maggio 1974.
Oggi Redento è nonno di 9 nipoti (il decimo sta per arrivare) nel fianco ha ancora 2 delle 8 schegge dell’ordigno. Si è salvato perché due corpi gli hanno fatto da scudo: Euplo Natali e Bartolomeo Talenti che si preoccupava di non far prendere la pioggia a quel giovane uomo che per anni ha dovuto combattere contro il suo stesso silenzio. “Non riuscivo a raccontare di quel giorno. Ero vittima di una rimozione non voluta dell’evento”.
Dieci anni fa poi, grazie all’interesse e alla curiosità di due dei suoi nipoti è riuscito a raccontare.
Redento – il cui padre democristiano era stato vittima delle angherie perpetrate da esponenti del partito fascista – il 28 maggio 1974 non si sentiva tranquillo.
Fin dal momento del raggruppamento del corteo che doveva raggiungere la piazza l’uomo si guardava in giro. Buttava l’occhio nelle vie laterali lungo il percorso  assillato dal pensiero che qualcosa potesse accadere.
“Era un periodo in cui a Brescia si stavano verificando troppe aggressioni a studenti e operai ma le autorità non prendevano nessun provvedimento. Io mi sentivo inquieto. Avevo scelto di partecipare alla manifestazione antifascista indetta dai sindacati  per richiamare l’attenzione di tutta la città su ciò che troppi, al contrario, facevano finta di non vedere”.
Al tempo l’operaio Redento percepiva uno stipendio mensile ( comprensivo degli straordinari) che non raggiungeva le 100 mila Lire, 26 mila delle quali andavano nel mutuo per la casa che aveva appena riscattato insieme alla moglie casalinga. Scioperare quel giorno era un sacrificio anche economico per la sua famiglia.
Il corteo  avanza e Redendo lo anticipa correndo avanti fino al raggiungimento della piazza. Piove forte, piazza Loggia si sta riempiendo. “Hai visto Redento? Sotto il porticato c’è un gambaletto” gli indica un collega segnalando la presenza di quel fascistello conosciuto in città: dipendente della società di energia elettrica,  un paracadutista. L’operaio lo indica usando il termine “gambaletto” come facevano i loro genitori. Redendo allora si avvicina al porticato tentando di raggiungere l’uomo che a sua volta si sposta di qualche metro. L’operaio  guarda  nella fontana, nel cestino, scruta  addirittura nella griglia che c’è sul pavimento. Controlla con attenzione senza trovare nulla di strano. Il gambaletto a sua volta lo osserva allontanandosi sempre più dai pilastri che sostengono le arcate del porticato della centralissima piazza cittadina. Redento decide di fare qualche passo, di tornare sotto la pioggia per guardare meglio. Sente la frase in dialetto di Talenti che lo invita a ripararsi dalla pioggia
“Gnaro vé dènter che ‘l  piöf”. E poi lo scoppio
Brescia non è mai paga di onorare le vittime della strage di piazza della Loggia.
Il 28 maggio osservato con gli occhi di chi guarda da lontano è tutt’altro che un semplice, magari stanco, rituale.
Quarantacinque anni dopo nella piazza in cui esplose l’ordigno che causò la morte di 8 persone ci sono i ragazzi di allora, oggi genitori.
Alla domanda: “A che punto siamo arrivati?”. La risposta più illuminante è quella di Manlio Milani della Casa della Memoria che in quella strage perse la moglie Livia Bottardi di 31 anni.
“La sentenza è un punto di partenza per approfondire le ragioni storiche e le relative responsabilità. Quello che è accaduto a Brescia è un contenitore dell’intera Storia  del nostro Paese. Chi ha usato organismi istituzionali e politici per manipolare, chi allora ha attuato depistaggi, può farlo anche oggi. Molti dei testimoni di Brescia sono morti e il tempo trascorso di certo rende tutto più difficile ma non possiamo accontentarci di questa sentenza”.
Nella strage  morirono Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Euplo Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Alberto Trebeschi, Clementina Calzari Trebeschi e Vittorio Zambarda.
La ricorrenza del 28 maggio per la Casa della Memoria dura un intero mese mentre l’attività all’interno delle scuole non si ferma mai. Gli incontri con i ragazzi cercando di accendere e alimentare in loro la consapevolezza rispetto a ciò che è accaduto. Il frutto di questa scelta di trasmissione di valori e conoscenza è strettamente connessa anche alla vicenda personale di Redento che solo dieci anni fa ha trovato la forza di uscire dal suo dolore, turbamento e silenzio interiore. “Ho partecipato a tutti i processi per dovere ma ricordo in particolare che al termine di una udienza, appena uscito dall’aula, mi sono appoggiato al muro e  sono svenuto”.
Un giorno due dei suoi nipoti partecipano ad un incontro organizzato a scuola in occasione della ricorrenza. A casa le rispettive mamme (due delle tre figlie di Redento) rivelano  che anche il nonno era presente nel giorno della strage. Subito i giovani chiedono a Redento di sapere. Lui con una scusa rimanda. Rimanda per settimane poi un giorno decide di portarli a fare una gita in montagna e immersi nei boschi  nel silenzio e lo tanto dal resto della città inizia il suo racconto. Redento inizia a trovare le parole per esprimere il suo stato d’animo imprigionato  per anni, mette in fila tutti i suoi peggiori incubi notturni, svela le  emozioni di quel giorno rimaste intatte per tutto quel tempo.
La notte nonno e nipoti dormono nello stesso letto. I due ragazzi cominciano a fare mille domande alle quali Redento non si sottrae.
“Quel 28 maggio non ero sceso in piazza per una rivendicazione salariale ma per manifestare contro il fascismo e contro tutto ciò che aveva dovuto subire mio padre che aveva scelto di vivere da uomo libero. Oggi vado nelle scuole e incontro tanti studenti lo faccio grazie  ai miei nipoti che con il loro interesse mi hanno reso un uomo libero da me stesso e da quei ricordi tanto dolori che hanno segnando tutta la mia vita”.
Il 20 giugno 2017 la Cassazione ha confermato la condanna all’ergastolo nei confronti di Carlo Maria Maggi, medico, ex ispettore veneto dell’organizzazione neofascista Ordine nuovo, e di Maurizio Tramonte, l’ex fonte ‘Tritone’ dei servizi segreti per la strage di piazza della Loggia che oltre agli 8 morti lasciò 102 feriti.
Redento Peroni però aspetta ancora di conoscere i mandanti e chi coprì i depistaggi. Ieri come oggi.

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