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Separazione delle carriere. Un’altra riforma costituzionale sciagurata?

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La Commissione affari costituzionali della Camera, da alcuni giorni, ha iniziato l’esame della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare, promossa dall’Unione camere penali, che ha come titolo: “Norme per l’attuazione della separazione delle carriere giudicante e requirente della magistratura”. Nella relazione di accompagnamento si legge: “la finalità della riforma non è quella di porre la magistratura requirente nella sfera di influenza del potere esecutivo bensì quella di assicurarne la piena autonomia”. Ora, tale affermazione è infondata e chiaramente strumentale perché l’attuale ordinamento già assicura la piena autonomia della magistratura requirente che, viceversa, viene messa in pericolo dalle plurime previsioni della proposta; e ciò, non tanto per la previsione di una separazione delle carriere tra inquirenti e giudicanti, quanto dalle previsioni – volutamente non riportate nel titolo – relative alla pericolosa modifica della composizione del C.S.M. e alla, altrettanto pericolosa, modifica dell’art. 112 Cost. che porta alla cancellazione di fatto del principio di obbligatorietà dell’azione penale.

La separazione delle carriere – (distinti concorsi, distinti CSM) – non incide sull’autonomia del P.M. e non lo pone nell’influenza del potere esecutivo per la semplice ragione che un altro CSM, strutturato come quello attualmente in vigore, con al vertice il Capo dello Stato, non può giammai costituire pericolo per l’autonomia della magistratura requirente (come non lo è stato per l’intera magistratura). Inoltre, la separazione, sia pure delle funzioni, tra magistrati inquirenti e giudicanti, già da tempo esiste, se è vero che oltre l’80% dei magistrati che assumono le funzioni di P.M. continuano, nel corso della carriera, ad esercitare le medesime funzioni sia per essere l’incarico di P.M. più appetibile e prestigioso sia per le restrizioni al cambio di funzioni introdotte dal D.lgs. 2006 e dalla L. n° 111/2007. Il vero pericolo per l’indipendenza della magistratura (sia inquirente che giudicante) è la previsione di mutare la composizione del C.S.M. aumentando il numero degli eletti dal Parlamento tale da renderlo eguale a quello dei togati (oggi rispettivamente 1/3 e 2/3 dei componenti). Ciò, naturalmente, avverrà sia per il costituendo C.S.M. per i P.M. che per quello attuale (che riguarderà solo i giudici). Questa modifica aumenterà a dismisura il tasso di politicizzazione del C.S.M. se è vero che i membri laici vengono scelti, non tanto per la loro competenza ed autorevolezza delle rispettive professioni quanto essenzialmente (se non esclusivamente), per la loro appartenenza (e fedeltà) al partito che li propone (il più delle volte tra i parlamentari, addirittura tra i sottosegretari) di cui costituiscono espressione e di cui seguono le indicazioni. La modifica della composizione – di cui non si avverte alcuna necessità – è, quindi, finalizzata ad un evidente controllo politico della magistratura e del P.M. in particolare, tant’è che nella proposta di modifica anche dell’art. 112 Cost., si stabilisce che il P.M. ha l’obbligo di esercitare l’azione penale “nei casi e nei modi previsti dalla legge”. Ora, nella relazione si parla diffusamente (e artificiosamente) della “esigenza di fissazione delle priorità”. Ma, una cosa sono “le priorità” in ragione della gravità e dell’allarme sociale dei reati – che, ove rispondano a criteri generali, omogenei e predeterminati, sono perfettamente compatibili con il principio di “uniforme esercizio dell’azione penale” stabilito dall’art. 1, comma 2 Dlgs. N° 106/2006, inteso come esercizio paritario per classi o tipologie di reati predeterminati in linea generale – altra cosa è prevedere “i casi” dell’esercizio che porta diritto a pericolose scelte di opportunità dell’esercizio dell’azione penale sicuramente estranee all’attuale dettato costituzionale secondo il quale l’obbligatorietà dell’azione penale concorre a garantire da un lato l’indipendenza del P.M. nell’esercizio della propria funzione, dall’altro l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge penale, come più volte ribadito dalla Consulta.

In conclusione, la proposta di legge – mentre fa esplicito riferimento solo all’obiettivo di disciplinare legislativamente quella che è una situazione in concreto già esistente (separazione delle funzioni tra P.M. e Giudici) prevedendo un distinto concorso pubblico e un autonomo C.S.M. con la garanzia di essere presieduto dal Capo dello Stato – in realtà getta le basi per l’assoggettamento dell’ordine giudiziario al potere politico mediante l’aumento del numero dei componenti laici e l’introduzione della discrezionalità dell’azione penale affidando i “casi e le forme” di esercizio al Parlamento in tal modo rimettendo alla maggioranza politica di turno la scelta di quali reati perseguire, con conseguente vulnus al principio di parità di tutti i cittadini innanzi alla legge. Viene, in tal modo, eliminato il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale che costituisce il punto di convergenza di un complesso di principi basilari del sistema costituzionale, il cui venir meno ne altererebbe l’assetto complessivo.


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