Il buio, quello fitto ed impenetrabile, quello che mette ansia e annega la speranza, circonda il sequestro di Silvia Romano. La volontaria milanese è stata rapita giusto 6 mesi fa nel villaggio di Chakama, nell’entroterra di Malindi, sulla costa del Kenya. Nei primi giorni del sequestro le autorità locali si impegnarono in una confusa ricerca dell’ostaggio: taglia sui banditi, centinaia di fermi, qualche arresto con relativo rilascio, forti pressioni sulle comunità che vivono nella foresta di Boni dove si presume che sia tenuta prigioniera. Poi le lotte intestine tra polizia ed esercito in lite tra loro per la titolarità delle indagini, ufficiali rimossi, quindi buio. Da tempo ormai nessun poliziotto, soldato o guardia forestale cerca più la giovane laureata arrivata in Africa con la voglia di lavorare ed impegnarsi per il cambiamento. Le ricerche sul campo, le battute nella foresta sono costose per i bilanci di polizia ed esercito e da tempo si lavora – spiegano coperti dall’anonimato i poliziotti – solo su segnalazioni, informazioni riservate che però sono sempre più rare.
Tutti oggi siamo in attesa della sospirata svolta dopo l’arrivo in Kenya (poco più di un mese fa) degli investigatori italiani dopo un lungo braccio di ferro – durato 5 mesi – con i loro omologhi kenyani. Fin da subito i magistrati romani avevano chiesto in un quadro di collaborazione internazionale (anche se privo di accordi specifici sottoscritti tra i due paesi) di condividere informazioni sul sequestro e la possibilità di essere parte attiva nelle ricerche. Risposte sempre rinviate fino al faticoso consenso arrivato ad aprile.
Oggi per i nostri investigatori la strada si presenta in salita. Per 5 mesi sono stati costretti ad essere spettatori. E recuperare il tempo perduto in indagini fumose, dai contorni sbiaditi e pieni di interrogativi (ufficiali delle guardie forestali in manette per connivenza con i sequestratori, un presunto rapitore che risulta deceduto sei mesi prima dell’evento criminoso, eccetera) è una affannosa corsa contro il tempo.
A distanza di sei mesi non sappiamo ancora se sia stata avanzata una richiesta di riscatto e soprattutto perché Silvia è stata portata via. Tante ipotesi, l’apertura del Vaso di Pandora di calunnie, maldicenze, affari ed interessi oscuri di personaggi emersi dal cuore di tenebra dei nostri espatriati ma nessun risultato apprezzabile per trovare Silvia.
In tutto questo tempo la famiglia ha scelto il silenzio assoluto, una decisione coraggiosa e durissima quella di non condividere la propria angoscia con altri. Riserbo delle nostre autorità per non intralciare le indagini, nessuna notizia trapelata, buio informativo totale. Ma a distanza di sei mesi il silenzio comincia ad alimentare solo l’inquietudine e rischia di essere incomprensibile per tutti.
A Silvia auguriamo di tornare presto a casa.