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Persone di minore età tra privacy e mass media

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Intervento alla TAVOLA ROTONDA “Un minore… tanti processi” che si è svolto il 10 maggio presso la Sede dell’Organismo Congressuale Forense organizzato dall’Unione nazionale camere minorili a Roma. Tra gli altri sono intervenuti l’avvocata Rita Perchiazzi, Presidente UNCM, il magistrato Giacinto Bisogni, Consigliere in Cassazione, l’avvocata Lucilla Anastasio, Consigliera dell’Ordine degli avvocati di Roma, Gianmario Gazzi, Presidente Ordine Nazionale Assistenti Sociali, l’avvocato Maurizio Benincasa, Consigliere UNCM e Presidente FIRST, avvocato Christian Serpelloni, coresponsabile settore penale UNCM.

Persone di minore età tra privacy e mass media

Quello che è il rapporto tra minorenni e mass media è un tema ampio e occorrerebbe una tavola rotonda ad hoc per poterlo affrontare. Oggi qui daremo solo uno sguardo ad alcuni dei fattori di rischio che riguardano l’esposizione delle persone minorenni sui giornali concentrandoci esclusivamente su quello che è l’uso nell’informazione, che è già comunque una grossa fetta rispetto a questo tema, e in particolare vedremo sia il punto di vista giuridico e deontologico che riguarda il trattamento di certi temi da parte del giornalista, sia alcuni esempi pratici presi dall’aria del racconto giornalistico della violenza maschile sulle ragazze minorenni.

Due anni fa ho fatto parte della Commissione sulla tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione istituita dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e presieduta dalla procuratrice Maria Monteleone, a cui hanno partecipato l’Ordine dei giornalisti, il garante della privacy, l’Agcom, la Rai, la polizia postale e associazioni che si occupano dell’argomento. Ne è uscito un lavoro ]]accurato, su cui rimando la vostra attenzione per approfondimenti, dal titolo “La tutela dei minorenni nel mondo della comunicazione”.

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Riguardo la tutela delle persone di età minore esistono diversi livelli di protezione e oltre all’art. 31 della nostra Costituzione che tutela i minorenni all’art. 31 (la Repubblica italiana “protegge l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”) e alla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza delle Nazioni Unite ratificata dall’Italia, abbiamo un Codice della privacy (D. L.vo. n.196/2003) secondo cui, richiamandosi al decreto del Presidente della Repubblica n. 448/88, si sancisce espressamente “Il divieto di pubblicazione e divulgazione con qualsiasi mezzo di notizie e immagini idonee a consentire l’identificazione di un minore”.

Per quanto riguarda il nostro codice deontologico la stessa legge istitutiva dell’Ordine dei Giornalisti (L. n. 69/63) all’art.2 afferma che “sono vietate la pubblicazione e la divulgazione, con qualsiasi mezzo, di notizie o immagini idonee a consentire l’identificazione del minorenne comunque coinvolto in un procedimento”, fatta salva l’ipotesi che si trovi nella fase del dibattimento in udienza pubblica. Regole diventate parte integrante del nostro codice deontologico grazie alla Carta di Treviso per cui, in linea generale, il giornalista può trattare casi in cui sia coinvolto un minorenne ma non deve rivelarne l’identità o renderlo anche indirettamente identificabile, ovvero è autorizzato a scrivere o mandare in onda la notizia ma senza esporre il minorenne.

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La Carta di Treviso è del 1990 redatta dalla Federazione Nazionale della stampa, Ordine dei Giornalisti e Telefono Azzurro, e regolamenta il rapporto tra libertà d’informazione e protezione dei minorenni, evitando una possibile vittimizzazione secondaria della persona minorenne coinvolta nei fatti che sono raccontati in modo che non si leda né il diritto di cronaca né i minori coinvolti. Una forma di autoregolamentazione vincolante che con l’avvento del web si è ampliata con il Vademecum 95 e l’aggiornamento della Carta del 2006. L’obiettivo principale è di proteggere lo sviluppo della personalità del o della minorenne e il suo equilibrio psico-fisico, assicurando la riservatezza e la circolazione di notizie nel rispetto della protezione dei suoi dati personali per cui il o la minorenne non devono essere resi identificabili in nessun modo, neanche attraverso elementi indiretti come le generalità dei genitori, l’indirizzo dell’abitazione o della scuola: regole su cui si fa eccezione solo quando la vicenda sia realmente nell’interesse del minorenne (per es. rapimento, scomparsa o altro) con casi in cui vi sia chiaro il preventivo consenso dei genitori o del giudice competente o di chi ne abbia legittimamente la tutela.

Ma vediamo cosa succede ancora sui giornali e nello specifico quando si tratta di ragazze minorenni. Un capitolo a parte andrebbe fatto su quelli che ancora oggi vengono denominati da molte testate come casi di “baby squillo”: un titolo che rappresenta una contraddizione in termini in quanto accosta la prostituzione alle bambine come se fossero consenzienti e non come se si trattasse di una violenza o di una coercizione. Un concetto grave che viene divulgato come normale e accettabile, e che rientra a pieno in quello che chiameremo da ora in poi “il racconto porno-soft della violenza”. Un’etichetta ormai abusata che richiama immancabilmente a un immaginario pedofilo.

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A questo proposito ricordiamo il caso di due minorenni coinvolte in un giro di prostituzione a Roma di qualche tempo fa, che ha determinato la presa di posizione dell’Ordine nazionale dei giornalisti con l’invito rivolto ai direttori di testate a interrompere quello che è stato definito “voyerismo mediatico”un modus operandi che non serviva a fare informazione ma solo a rimescolare nel torbido di un immaginario sessuale maschile perverso, in una gara a chi forniva il particolare più disgustoso con la pubblicazione di sms e di elementi che hanno portato tanti a identificare le ragazze.

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Un racconto porno-soft che comprende anche la narrazione che ancora viene fatta su molti giornali della violenza sessuale in cui siano coinvolte ragazze anche minorenni: ragazzine che vengono messe in dubbio e raccontate come inaffidabili che prima ci stanno e poi si pentono e denunciano, ragazzine che spesso risultano essere vittime del branco.Minorenni sopravvissute alla violenza che vengono esposte senza reale tutela e senza badare all’età, con il rischio di riconoscimento attraverso elementi indiretti: esposizione mediatica che impedisce alla minorenne non solo la fuoriuscita dal trauma ma le preclude la possibilità di una vita e di uno sviluppo normale. Una rivittimizzazione che avviene quando l’informazione, nel descrivere il fatto, ricalca stereotipi e pregiudizi di genere già usati nei confronti delle donne, tutte le donne, senza tener conto che oltretutto si sta parlando di persone di minore età in cui inevitabilmente non solo si sviluppa una seconda sofferenza, un secondo danno, ma può essere compromesso lo sviluppo di una vita normale.

Lo stereotipo che viene ricalcato è sempre lo stesso e fa apparire la ragazza responsabile di quello che le è successo giustificando l’offender che è stato provocato da una gonna troppo corta, dalla bellezza della ragazzina, dal fatto che era lei che li provocava, e che aveva dato confidenza ai ragazzi, quindi ci stava. Stupri che vengono attenuati nel racconto come se fossero reati meno gravi, perché legati al fatto culturale mai morto che una violenza sessuale non si può dimostrare, e che una carina uno stupro se lo deve aspettare nella vita, e questo al di là del fatto che sia piccola, grande, minorenne o maggiorenne, perché se è una femmina, tra l’altro giovane e di gradevole aspetto, è in ogni caso una “preda sessuale”.

montalto-di-castro.jpgRagazze che subiscono uno stupro, e che fin troppo spesso non sono credute, e che vengono dipinte in maniera ambigua: profili che sostengono così il pericoloso ribaltamento che trasforma la parte lesa in imputata. Un caso su tutti fu quello di Montalto di Castro in cui una ragazza di 15 anni fu stuprata dal branco e dove non solo parte della cittadinanza e il sindaco presero le difese degli stupratori, ma anche sui giornali si insistette molto e per molti mesi su un racconto spesso ambiguo e torbido, tanto da esporre la ragazzina in maniera determinate e lesiva, non solo dando elementi di riconoscibilità ma provocando in lei un secondo danno nella crescita e privandola di un adeguato sviluppo, come poi è avvenuto.

Un accanimento mediatico che sostiene e amplia la rivittimizzazione, provocando una seconda sofferenza alla persona coinvolta e che nel caso di minorenni può essere devastante in quanto può compromettere lo sviluppo. Un racconto porno-soft che indugia su elementi legati a un immaginario maschile perverso che non guarda all’età ma che anzi specula su questo fattore, e che si può consumare anche quando la minorenne è morta, come nel caso di Desirèe Mariottini, la ragazza di 16 anni stuprata e uccisa a San Lorenzo a Roma. Desirèe sui giornali è stata dipinta come una povera ragazzina drogata con un’anima tormentata, una giovane perduta, dannata che avrebbe fatto una brutta fine a prescindere, e che si prostituiva per procurarsi una dose.

Come in tanti altri casi, la minore è stata esposta in foto che in chiaro la ritraevano in pantaloncini e in pose accattivanti: immagini prese dal suo profilo personale su Fb senza il consenso dei genitori e date in pasto al pubblico, e non perché queste immagini aggiungessero nulla alla notizia, ma perché all’interno di quel racconto porno soft per cui tutte le donne, comprese le minorenni, provocano e se la cercano. Un pregiudizio difficile da sradicare sia nella testa di chi scrive sia nella testa di chi legge, che esistano donne per bene e donne per male senza età: un costrutto culturale fallace dato che le donne e le ragazze di ogni età vengono stuprate e anche uccise, al di là di come sono vestite, del loro aspetto fisico, e di come si atteggiano, perché appunto il sesso non c’entra ma si tratta di azioni di sopraffazione e di violenza.

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Di Desirèe Libero ha scritto: “La studentessa di Cisterna era solo una ragazzina, in realtà viveva da donna inquieta e fragile, affogando i suoi problemi tra psicofarmaci e brutte compagnie. Niente a che vedere con la spensieratezza che si addice a una giovane della sua età. Il sospetto di chi indaga è che pur di procurarsi una dose, si fosse perfino prostituita”. Mentre il Ticino Online ha pubblicato un articolo illeggibile dal titolo “Il calvario della puttana”, e malgrado poi si sia accertato dalle indagini che Desirèe non aveva mai avuto rapporti sessuali prima dello stupro, nessuna di queste testate ha fatto rettifica, ha chiesto scusa alla famiglia: nulla di nulla. Articoli che oltre a ledere la memoria della minorenne stuprata e uccisa, hanno creato nuova e grave sofferenza alla famiglia.

Eppure le statistiche ci dicono non solo che in Italia ci sono 7 milioni di donne e ragazze che subiscono violenza ma che, secondo Terre des Homme, negli ultimi 10 anni la violenza sessuale e gli abusi sui bambini è aumentata del 43% con più di 15 minori al giorno che subiscono violenza: persone minorenni che all’84% sono bambine con un aumento del 18% in un anno. Violenze che per la maggior parte non sono per mano di stranieri (autori delle violenze sulle donne al 15,1%) ma di uomini bianchi italiani che hanno relazioni intime con la vittima e che agiscono in famiglia, storie che non sapremo mai a meno che non siano narrate in maniera torbida e pruriginosa su qualche giornale locale.


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