Parabita. Intervista al Commissario straordinario Cantadori: mafia fenomeno trasversale

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Andrea Cantadori è da due anni commissario straordinario a Parabita, comune di 9.127 anime a pochi kilometri da Gallipoli, nel Salento. Sciolto per mafia nel 2017 per la vicinanza di alcuni esponenti del clan Giannelli con l’amministrazione comunale. Il figlio del boss Luigi Giannelli, che dal padre aveva raccolto la staffetta della gestione degli affari criminali, lavorava con altri affiliati per la ditta di raccolta rifiuti, Igeco costruzioni spa. I lettori del Tacco sanno che di questi fatti abbiamo scritto dal 2013, scoperchiando zone d’ombra e di marcio, tracciando un solco di Verità. Le conseguenze di quest’impegno le stiamo pagando ancora oggi: siamo a processo a seguito della richiesta di sequestro del giornale da parte di Igeco, raggiunta poi da interdittiva antimafia. Sequestro concesso dalla magistratura leccese per 45 giorni, dopodiché, difesi dalla FNSI, abbiamo ottenuto il dissequestro ma non abbiamo evitato il decreto di citazione diretta a giudizio. Il sequestro di un giornale, è bene tenerlo a mente, è vietato dalla Costituzione italiana. Altre due querele sono state archiviate, nonostante l’opposizione di Igeco.

Ho chiesto al commissario Cantadori un confronto sulle questioni più spinose. Ha risposto con franchezza e generosità e di questo lo ringrazio.

Commissario Cantadori, ha ricevuto “un consiglio” a farsi i “fatti” propri per campare 100 anni. È una minaccia evidente legata alla sua attività di Commissario del Comune di Parabita: a chi ha dato fastidio col suo lavoro di Commissario prefettizio?

Quando  si amministrano Comuni sciolti per condizionamento o infiltrazioni da parte della criminalità organizzata, il compito della Commissione straordinaria è quello di rimuovere le cause che hanno portato allo scioglimento, così come è specificato nel decreto di nomina firmato dal Presidente della Repubblica. È evidente che si tratta di una attività che va a intaccare interessi di vario genere, che spaziano dagli appalti agli affidamenti dei servizi, dalle concessioni alle licenze, dalle assunzioni all’attribuzione degli incarichi, tanto per citare alcuni esempi. Alcune decisioni assunte, com’era prevedibile, possono avere provocato la reazione di chi si è sentito toccato nei propri interessi. Va anche tenuto presente che la presenza di una Commissione straordinaria in un Comune sciolto per mafia viene spesso avvertita come un atto di “usurpazione” dai detentori del potere consolidato, che quindi potrebbero essere indotti a tentare di bloccarne l’attività con azioni intimidatorie.

Quali sono state le principali criticità che ha dovuto affrontare come Commissario di Parabita?

Mi limiterei a citarne una per tutte. La società che era addetta alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti, poche settimane dopo l’insediamento della Commissione straordinaria, ha fatto presente di non volere proseguire nell’incarico e, successivamente, è stata destinataria di interdittiva antimafia emessa dalla prefettura di Roma. Stessa sorte è toccata alla seconda società in graduatoria, che nel frattempo era subentrata alla prima. Come in un girone senza fine, a dimostrazione di come certi contesti possano rivelarsi insidiosi. 

Siamo alla vigilia della fine del suo incarico: facciamo un bilancio su quanto ha fatto.

Riassumere due anni di lavoro in poche battute non è semplice, ma fra le cose più significative cito senz’altro l’affidamento di un bene confiscato alla mafia ad una cooperativa di giovani, l’individuazione delle case popolari occupate abusivamente e la ricognizione degli occupanti al fine di procedere agli sgomberi ove le condizioni lo consentano, la riorganizzazione degli uffici comunali con rotazione degli incarichi e riduzione dei costi, il ricorso a procedure di pubblica evidenza nell’affidamento dei lavori pubblici, l’attività di contrasto all’abusivismo edilizio. Circa quest’ultimo aspetto, il Comune di Parabita si è costituito parte civile in un processo riguardante un abuso compiuto nel centro storico, cosa mai avvenuta prima. Un’altra decisione dal valore simbolico oltre che pratico, ha riguardato l’apertura degli uffici comunali al pubblico durante tutto l’orario di lavoro: precedentemente i cittadini avevano accesso agli uffici durante un ristrettissimo numero di ore e limitatamente ad alcuni giorni della settimana, generando anche visivamente una pessima immagine di chiusura al mondo esterno, intollerabile al giorno d’oggi.

Ha subito pressioni (oltre al biglietto di minacce)? Qualcuno ha cercato di condizionare la gestione commissariale? Se si, chi e in che modo?

Ci sono stati certamente tentativi di indirizzare l’attività della gestione commissariale in certe direzioni anziché in altre, così come è apparsa evidente la difficoltà di reperire informazioni ogniqualvolta si aveva la consapevolezza di toccare certi argomenti. Fortunatamente, devo dire che molti dipendenti comunali hanno collaborato lealmente e anche numerosi cittadini hanno colto l’opportunità di un riscatto segnalando situazioni degne di nota. Complessivamente, c’è stata una buona risposta da parte della popolazione e questo ha aiutato molto il nostro lavoro.

Imprenditoria, politica e mafia: nel Salento fanno affari insieme?

È una risposta che lascerei agli investigatori. In ogni caso, sono contrario alle generalizzazioni, è possibile, anzi altamente probabile, che ci siano certi imprenditori e certi politici in combutta con ambienti mafiosi, ma questo discorso potrebbe valere per qualunque altra categoria sociale. Andrei cauto nell’individuare specifici settori come responsabili di fenomeni collusivi e non solo per non alimentare un clima di sospetto nei confronti di tanta gente onesta, ma anche perché si potrebbe ingenerare la convinzione che la mafia sia tutto sommato un fenomeno circoscrivibile e non, invece, un fenomeno “trasversale” che può riguardare gli ambiti più diversi.

Il modo migliore e il più semplice per ripulire denaro sono gli esercizi commerciali. Il prefetto Palomba aveva puntato molto sui protocolli per la legalità con i Comuni, che però non hanno collaborato con la Prefettura comunicando i nuovi esercizi commerciali, le nuove attività produttive, le nuove licenze rilasciate, in modo da consentire le opportune verifiche agli inquirenti. Per esempio, a Casarano il protocollo non è mai partito e nascono negozi e ristoranti nonostante il paese sia profondamente depresso. Che situazione ha trovato a Parabita?

I protocolli per la legalità sono uno strumento efficace, che però richiede l’impegno di tutte le parti in causa. Se qualcuno fra i firmatari non tiene fede agli impegni, tutto l’impianto ne risente. A volte si ha l’impressione che qualcuno ambisca alla sottoscrizione di un protocollo con il prefetto per una questione di prestigio immediato, scordando che invece è proprio dal momento della firma che inizia l’impegno vero e proprio. Ricordo quando al Viminale elaborammo uno schema di “protocollo tipo” insieme alle categorie sociali, produttive e ai rappresentanti delle associazioni degli enti locali: c’era la convinzione di avere fatto qualcosa di buono e sono dell’avviso che effettivamente si siano rivelati molto utili e che tutt’oggi rimangano un mezzo molto valido in grado di dispiegare effetti positivi. 

Potrebbe esistere la mafia senza consenso sociale?

È innegabile che la forza della mafia risieda anche in un certo consenso sociale, non solamente nella sua potenza intimidatrice. La mafia talvolta usa e abusa dei valori tradizionali, come diceva Giovanni Falcone, valori che fanno parte della società. È come se esistesse un regime di promiscuità fra mafia e ambiente sociale. In Calabria vidi con i miei occhi una fila di persone che attendeva ordinatamente di entrare nell’abitazione di un boss per rendergli omaggio, dopo che era stato scarcerato. Nei Comuni sciolti dove sono stato Commissario ho spesso sentito parlare della mafia di un tempo con una sorta di nostalgia, quasi come se anch’essa non fosse stata esempio di violenza e sopraffazione. Ho però l’impressione che il consenso sociale della mafia si stia restringendo, che coinvolga solo una parte molto minoritaria della popolazione presente nei territori in cui agisce. Sono portato a essere ottimista sul futuro, anche perché, parafrasando ancora una volta Falcone, “la mafia è un fenomeno sociale e come tutti i fenomeni sociali è destinato a finire”.

Lei è Commissario di lungo corso: quali sono le principali modalità in cui la mafia si infiltra nelle pubbliche amministrazioni? Quali sono le avvisaglie di infiltrazioni che i cittadini e i dipendenti pubblici devono tenere d’occhio e che cosa devono fare quando hanno sentore che ci sono tentativi di infiltrazione?

Talvolta accade che la malapolitica ottenga dalla criminalità i voti per entrare in Comune. Altre volte è la stessa criminalità che si fa politica. La convinzione che mi sono fatto è che nei piccoli Comuni, in cui più o meno tutti si conoscono, ci sia sottovalutazione del fenomeno o che non vi sia un adeguato sentimento di condanna. Un’amica che ha avuto un’esperienza politica in un Comune che era già stato sciolto mi ha fatto notare come semplici ragazzini, senza alcuna storia alle spalle e presi dai loro letti ancora dormienti, erano stati destinatari di valanghe di  preferenze alle elezioni comunali e premiati con un assessorato. Difficile non insospettirsi. Questo per ribadire un concetto che appare retorico, ma che rimane una verità: il controllo appartiene prima di tutto ai cittadini, che devono però essere coadiuvati dalle istituzioni. In un Comune sciolto avevo costituito delle consulte di cittadini su vari argomenti (turismo, commercio, cultura…), contando che avrebbero potuto esercitare una sorta di controllo “democratico” sulle future scelte dell’ente. Purtroppo, finita la gestione commissariale, le consulte non sono più state convocate, ma mi risulta che nessuno abbia reclamato, sulla base dell’assunto che “tanto decidono sempre loro…”. Questo è un atteggiamento deleterio, non solo per noi, ma soprattutto per i nostri figli.

Che cosa pensa della scelta di Marco Cataldo di ritirare la propria candidatura?

Non mi sento di giudicare chi, a causa di minacce ricevute o per altre motivazioni, ritira la propria candidatura. Non ho parlato con Marco Cataldo dopo che ha assunto questa decisione. Se è stata la paura a guidarlo, allora credo che abbia fatto bene a ritirarsi per tempo, dal momento che amministrare situazioni difficili richiede anche coraggio nel momento delle scelte. Se non si è disponibili ad affrontare i possibili rischi, è meglio rinunciare dall’inizio. Rimango un po’ sorpreso però, perché lo Stato, nella persona della prefetta, gli aveva dimostrato tutta la sua vicinanza, arrivando a convocare un Comitato per l’ordine e la sicurezza a Parabita, cosa mai avvenuta in precedenza. Qualunque sia il motivo alla base della decisione del suo ritiro ne sono dispiaciuto, perché in questo modo si è ridotta l’offerta elettorale.


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