Il clan dei casalesi Lorenzo Diana non lo sopportava e ha cercato di farlo saltare in aria con una bomba; ha provato a intimidirlo con una lettera scritta dal capo supremo, Francesco Schiavone-Sandokan direttamente dal carcere e pubblicata sulla Gazzetta di Caserta. Ma la vendetta più sottile e tagliente è stata di tutt’altra natura, arrivata per bocca di due pentiti che avevano lasciato spazio alla possibilità che l’ex parlamentare fosse un fiancheggiatore. Per questo il 3 luglio del 2015 ricevette un avviso di garanzia per concorso esterno nell’associazione camorristica dei casalesi, appunto. Adesso, quasi quattro anni dopo, la Procura di Napoli ha chiesto l’archiviazione.
Dunque non ci furono collusioni fra il clan dei Casalesi e quello che è stato considerato sempre uno dei politici più impegnati sul fronte antimafia; ha vissuto sotto scorta per 20 anni. L’indagine scattata nel 2015 riguardava la metanizzazione di sette comuni dell’agro aversano.
“E’ finito un calvario”, dice Diana, che è stato anche membro della Fondazione Borsellino, collaboratore di Articolo 21, componente della Commissione parlamentare antimafia e soprattutto un tassello-cardine nella lotta alla camorra in quel comprensorio difficilissimo.
Lei ha sempre detto di credere nella giustizia, però ha anche aggiunto che tempi così lunghi sono inaccettabili. Cosa si sente di aggiungere adesso?
“Ho sempre combattuto la camorra e rifarei ogni cosa ma penso che sia giunto il momento di porre fine alle gogne mediatiche senza l’accertamento di vere condotte illecite. Ho sempre saputo che sarebbe finita come è finita. Quel 3 luglio del 2015 si è abbattuto su di me un fiume di fango ad opera di gentaglia che ho sempre combattuto. Per una settimana sono stato su tutti i media nazionali, per un mese su quelli locali e per un anno si è parlato di questa storia. La richiesta di archiviazione non ha avuto la stessa eco, questo io faccio notare”
Oggi sappiamo che i casalesi si sono “vendicati” con lei che fu uno degli artefici della svolta investigativa e di valutazione politica del clan. Come ricorda quegli anni?
“Io ho sempre lottato contro la camorra, talvolta in solitudine, quando lo Stato ed i giornali erano assenti nel nostro territorio mentre il clan cresceva. Ho combattuto la camorra con coraggio quasi folle e senza risparmiarmi fino al rischio della mia vita e di quella dei miei familiari. Non mi lasciai fermare ed intimorire nemmeno dalla decisione del clan di eliminarmi con un attentato dinamitardo, di cui fui informato dai vertici nazionali della Polizia, tantomeno il 5 dicembre 1995 quando, a conclusione dell’operazione Spartacus, il Prefetto mi chiese di non uscire più di casa da solo e mi pose sotto la tutela della scorta. Da allora la mia vita cambiò per i successivi 20 anni. Ma non è mai cambiato il mio impegno contro la camorra”.
Cosa farà da domani nella sua città che è sempre Aversa? Lei non ha lasciato quel posto, è rimasto nonostante tutto.
“Certo e resterò lì. C’è ancora tanto da fare in quel territorio. In queste ore molti amici e associazioni mi stanno chiedendo di tornare in attività poiché dopo l’avviso di garanzia, credo correttamente, ho ritenuto giusto ritirarmi ed aspettare il corso del procedimento. Guardi che da quelle parti non ci sono più i capi del clan ma sono rimaste, vivissime, le loro tracce insieme agli investimenti che hanno fatto e, intanto, vengono avanti le quarte, le quinte linee”
Quanto contano quelle tre parole: ‘richiesta di archiviazione’?
“Tanto, oggi sono contento ma la soddisfazione non cancella la sofferenza e l’amarezza per una giustizia lenta ed inefficace. Quattro anni in cui sono stato con onorabilità, dignità e diritti sospesi, a partire dal diritto di parola e di impegno. E’ finita. Ma chi potrà restituire questo tempo ed opportunità di vita, la dignità e la serenità a me, familiari ed amici? So benissimo che non sono l’ultimo a vivere questa condizione, per questo sono convinto che bisogna assolutamente riformare la giustizia. Sia ben chiaro: oggi più che mai difendo l’autonomia della magistratura e la legittimità di indagare su chiunque ed anche su di me . Nessuno può essere al di sopra di ogni sospetto, ma si indaghi presto e bene! Io intendo per riforma l’introduzione di correttivi che garantiscano diritti, efficacia, rapidità, certezza della pena e che recidano il rapporto perverso tra avviso di garanzia e gogna mediatica. La magistratura ha avviato ed archiviato un’indagine, accertando che non vi è stata condotta illecita. Ma dall’avviso ad oggi è stata pagata dall’indagato una condanna, ingiustificabile stando all’archiviazione. La giustizia diventa così lenta, inefficace e disumana. Non è più tollerabile che il garantismo costituzionale del principio della presunzione di innocenza sia stato sostituito di fatto dal principio della presunzione di sospetto e colpevolezza senza processo. Non si può ridurre un tal problema a questioni di fughe di notizie.
Il parlamento ha il dovere di una seria riforma”.
Lorenzo Diana è originario di Casal di Principe, è stato deputato e poi senatore per il Pds, i Ds e l’Ulivo per tre mandati, dal 1994 al 2006. Oggi vive ad Aversa, la città più importante di quello che viene considerato un distretto ad altissimo tasso criminale, patria del clan dei casalesi, organizzazione tra le più ricche e temute in Europa, la cui storia viene raccontata per la prima volta nel processo Spartacus dall’omonima operazione scattata appunto nel 1995 e alla quale fa riferimento l’ex parlamentare.