Il momento più importante della campagna elettorale è il giorno del silenzio, prima delle elezioni. Dopo le urla di chi ci vende nazionalismo del ‘900 come nuovo, chi è impegnato nel lifting pseudo-religioso per togliersi le rughe di cinismo, chi giura di ritornare ai suoi valori originari dopo averli rinnegati, arrivano 24 ore dove siamo noi a dover tirare le somme. Il mercato delle promesse cessa, la borsa delle paure chiude, le accuse reciproche vanno in tregua. E là inizia l’intersezione tra la nostra visione della società e quello che ci sembra il programma più verosimile offerto dai partiti. Nel silenzio si amplificano i dilemmi. Vale più la storia personale di un candidato o quella del partito che lo ospita? E’ più urgente fermare un pericolo o spingere un sogno?