Il problema delle fake news non è un’urgenza nata oggi, ma le modalità con vengono manipolate le notizie o rese completamente false e diffuse sul web e i canali comunicativi dei social, hanno un’influenza sempre più ampia nel condizionare i lettori. Un fenomeno suscettibile di mettere a rischio i principi costitutivi della democrazia. Il titolo del convegno che si è tenuto a Palazzo Bo dell’Università di Padova il 10 maggio scorso, “L’informazione oltre gli stereotipi e le fake news – per la costruzione di contesti inclusivi”, contiene al suo interno una parola chiave: verità, e su questa verteva la corposa discussione nell’Aula Magna, dove 400 anni prima, aveva insegnato matematica Galileo Galilei. «Un incrocio di strade e discipline che si incrociano e con l’obiettivo di costruire contesti inclusivi. Le fake news sono barriere che impediscono l’inclusione» l’esordio di Laura Noto delegata dal Rettore per l’inclusione e la disabilità, moderatrice del Convegno. Si è parlato di verità dell’informazione e di false notizie e su questo è pure intervenuto papa Francesco nell’incontro con la stampa estera invitata in Vaticano: «le fake news sono responsabile di smerciare ‘cibo avariato’». Per contrastarle cosa si può fare? Una cosa semplice ma forse da troppo tempo trascurata: ripartire dai diritti esistenti. Sono quelli chiamati «aletici» dalla parola greca «aletheia» (verità).
Vale la pena citarli, se non altro per ricordarne l’importanza in una società come la nostra; in cui si stanno smarrendo valori alla base di una convivenza civile (e non solo) minata da pulsioni aggressive e distruttive nell’esercizio del libero pensiero. «Il diritto di essere informati in modo veridico; di essere nelle condizioni di giudicare e cercare la verità; di disporre di autorità aletiche affidabili e dunque di avere un sistema scientifico in cui criteri di valutazione sono orientati alla verità; di vivere in una società che favorisca e salvaguardi ove necessario l’acquisizione della verità. Di vivere in una cultura e una società in cui è riconosciuta l’importanza della verità in positivo e in negativo – per la vita privata e pubblica degli agenti sociali». Il seminario è stato organizzato all’interno del Master interateneo di II livello “Inclusione e innovazione sociale” istituito dall’Università degli Studi di Padova con il supporto del Sindacato giornalisti del Veneto, la Federazione nazionale della stampa di cui è partner attiva, Articolo21, istituzioni universitarie del Veneto. Ad aprire in lavori è intervenuto il rettore dell’Università di Padova, Rosario Rizzuto, il responsabile formazione dell’Ordine Nazionale dei Giornalisti, Maurizio Paglialunga, il segretario del Sindacato dei giornalisti Veneto, Monica Andolfatto. Il programma prevedeva anche gli interventi di Laura Nota, delegata dal Rettore per l’inclusione e la disabilità, Roberto Reale, docente di Strategie di Comunicazione dell’ateneo patavino, Paolo Pagliaro, autore insieme a Lilli Gruber del programma di La7 “Otto e mezzo”, Ornella Favero, presidente della Conferenza nazionale volontariato giustizia e Giuseppe Giulietti, Presidente della Federazione nazionale della Stampa italiana.
Vincenzo Milanesi, (già rettore dell’Università), direttore del dipartimento di Filosofia, Sociologia, Pedagogia e Psicologia Applicata – (FISPPA ) dell’Ateneo di Padova, ha spiegato come ci si debba riferire alla «filosofia che si è sempre occupata del tema della verità che viene messa a rischio scientemente da una disinformazione che la offende. La parola dell’anno è “fake news e post verità”, ma noi qui dobbiamo citarla con la v minuscola perché la v maiuscola va lasciata a contesti più alti. Se parliamo di “post verità” dobbiamo pensare ad internet, un mezzo potente la cui diffusione virale ha enormi potenzialità ma anche rischi enormi altrimenti finiamo al di la della democrazia e il pericolo di perderla è alto. i filosofi oggi iniziano a parlare di diritti aletici, di svelamento, ovvero la possibilità di andare a vedere cosa c’è sotto quello che viene veicolato come verità. Le Università sono luoghi di scienza e cultura con la capacità di influenzare affermazioni che si basano su dati oggettivi». Un giornalismo serio si deve rifare a questi contesti e non cercare di rincorrere sui social il facile consenso tramite una ricerca frettolosa di informazioni non accertabili e spesso fuorvianti. Gli interventi coordinati dal giornalista Enrico Ferri si sono susseguiti concentrandosi sugli aspetti deontologici della professione e su come si possa arginare la deriva delle fake news.
Ferri ha ribadito l’importanza dello scambio tra giornalismo e università e di perseguire sempre una narrazione capace di frenare quella ostile. Roberto Reale (è stato caporedattore della sede Rai di Venezia, vicedirettore della Testata giornalistica regionale del Tg3 e di Rai News 24), docente di Strategie di Comunicazione dell’ateneo, ha portato al pubblico presente ( cento i giornalisti presenti oltre agli studenti universitari) un esempio significativo di come vengono manipolati i lettori attraverso false informazioni (contenenti spesso incitamenti all’odio): «L’inchiesta di una giornalista inglese inviata in un paese del Galles si è occupata di capire come mai tutti gli abitanti abbiano votato all’unanimità per la fuoriuscita dall’Unione Europea, in un luogo dove non c’erano immigrati. La risposta degli abitanti è stata: “abbiamo letto su facebook che ci sarebbe stata un’invasione di sei milioni di turchi e questo ci ha convinti a votare per la Brexit. Tipico esempio di fake news. I social hanno una funzione circolare dove nessuno è empatico per natura e libero da pregiudizi. Esistono gruppi chiusi in cui si diffondono sentimenti di odio – ha spiegato Roberto Reale – di razzismo, xenofobia. Parole in grado di suscitare reazioni negative. Quando si sta sui social le parole hanno un peso profondo e il linguaggio usato diffonde parole ostili di odio che creano azioni».
Sono 43 milioni gli account facebook e otto utenti su dieci utilizzano Internet e di conseguenza si rivela un altro problema: l’analfabetismo di ritorno causato anche ad un’informazione che usufruisce del web che procura una manipolazione psicologica ed emotiva, specie nei giovani. Internet è facilmente manipolabile e quello che viene riversato al suo interno ci costringe a pensare in modo veloce ed istantaneo. Viene a mancare la riflessività e il pensiero critico. Laura Noto ha poi parlato della necessità di un «linguaggio inclusivo (al contrario del problema acuito dai social e anche dai media dove si alimenta sempre più una cultura divisiva, ndr) capace di effettuare un’operazione di svelamento. Il perché si sono diffuse le fake news è dovuto anche alle maggiori conoscenze in campo psicologico e alla capacità di attirare l’attenzione; alla digitalizzazione e globalizzazione. Esistono diversi gradi di manipolazione e parliamo di “fact cheking debunked” (verifica della veridicità di una notizia o di una dichiarazione tramite la raccolta e il confronto delle fonti, ndr). Un altro aspetto è quello del “continued – influence effect” in grado di far restare le persone attaccate alle credenze, (l’effetto di influenza continua data dalla conoscenza dei “fatti” su una notizia che poi si rivela falsa o infondata, ma che prosegue nel circolare e influenzare negativamente l’opinione, anche dopo essere stata smentita o rettificata, ndr). La docente universitaria ha poi proseguito: «la disinformazione deriva anche dalla riduzione all’attenzione dei fatti scientifici; un incremento della suscettibilità alle stupidaggini; la polarizzazione e ricerca di conferma. L’inerzia a procrastinare la ricerca di conferme e sensibilità alla presentazione delle informazioni e alle influenze sociali. La scarsa dimestichezza con il calcolo delle probabilità; il declino del capitale sociale e dell’impegno civico, dei diritti umani e la conseguente perdita di inclusione – concludendo con un’affermazione che va tenuta in considerazione – , il metodo scientifico è conquista che non va mai data per scontata».
L’Osservatorio sulla disinformazione online pubblicato dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha rilevato come le notizie di cronaca e politica registrano una percentuale del 56 per cento di falsi contenuti. Il rapporto “Infosfera” dimostra che l’82% degli italiani non è in grado di riconoscere una fake news sul web. L’obiettivo numero 16 dell’Agenda 2030 è quello di «promuovere società pacifiche e inclusive per lo sviluppo sostenibile, fornire l’accesso alla giustizia per tutti e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli».
Paolo Pagliaro giornalista dalla lunga esperienza professionale ha permesso di chiarire molti aspetti che ruotano intorno al tema delle fake news: «Il cinquanta per cento delle discussioni sui social derivano da quello che viene trasmesso nelle televisioni e il resto da programmi radio e notizie pubblicate dai giornali. Il rapporto annuale del Censis pone al primo posto la televisione e di seguito la radio, i giornali e infine internet; quest’ultimo è scelto dagli editori più lungimiranti per adeguare, digitalizzare i loro prodotti. Il problema delle fake news è politico e va segnalato come il tasso di ostilità verso gli stranieri è alto nei paesi dove non ve ne sono o risultano pochi. La realtà immaginata e percepita è più importante di quella fattuale. Succede allora che decidiamo in base a quello che veniamo a sapere e se le informazioni sono sbagliate, di conseguenza prenderemo decisioni errate e scorrette».
Pagliaro nella sua esaustiva relazione ha spiegato quali possono essere i correttivi per arginare il fenomeno e spiegato alcuni provvedimenti da assumere come quello della necessità di un «rinnovato codice deontologico del giornalismo: dopo il controllo dei fatti e la verifica dei contenuti occorre dimostrare anche l’onestà nel riferirli. L’informazione disintermediata e quella centralizzata viaggiano insieme e questo impedisce la possibilità di svolgere un serio lavoro giornalistico. L’onestà è perfettamente compatibile con le nostre passioni e con le nostre idee a cui ci siamo affezionati; a patto che le passioni non vengano spacciate per verità e le idee per verità».
L’intervento di Giuseppe Giulietti presidente FNSI ha condensato con grande efficacia e sintesi dialettica le relazioni precedenti, facendo risuonare nell’Aula Magna di Palazzo Bo un appello a non dimenticare il pilastro della democrazia: la Costituzione. «Mi sono piaciute le letture che sono emerse da chi mi ha preceduto perché non sono state letture di corpo. Se c’è una stagione che non può fondarsi sulle corporazioni è questa, come lo è quella dei giornalisti. Chi pensa che le aggressioni siano rivolte ai giornalisti sbaglia perché sono rivolte in realtà alle Costituzioni uscite dalla seconda guerra mondiale, alle carte costituzionali antifasciste e anti razziste. Alla mediazione. Il punto d’incontro per difendere una verità condivisa sono i valori della Costituzione. Come ha scritto Ivano Dionigi (Presidente di AlmaLaurea e della Pontificia Accademia di Latinità, Direttore del Centro Studi «La permanenza del classico» dell’Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, di cui è stato Magnifico Rettore dal 2009 al 2015, ndr) nel suo “Osa sapere” è fondamentale riappropriarsi della conoscenza contro la paura e l’ignoranza. Anche Stefano Rodotà spiegava l’importanza di precedere al mezzo della conoscenza, il pensiero critico, il dibattito. Prima viene l’agorà e se rimuovi questo valore sei uno spiantato. Penso ad Umberto Eco quando dice che è sbagliato contrapporre gli apocalittici agli integrati; a Giuseppe Antonelli (docente universitario di linguistica e filologo) che sottolinea l’importanza dell’uso della parola contro la “volgare eloquenza” parafrasando Dante Alighieri. La lettura e la conoscenza è fondamentale ed è cosa diversa dalla rapidità delle informazioni che corrono sul web. Devi studiare prima l’oggetto e poi custodirlo come un bene pubblico, studiarlo e se fai un’analisi devi mettere in ordine le informazioni. Altrimenti cadi nel narcisismo solipsistico e in quello digitale. Chi dice “vi spiego questa cosa per la prima volta perché non è mai stata detta prima” non sa nulla. Sono giornalisti che non hanno studiato né letto niente. Va data importanza al logos – parola se si parla di libertà d’informazione e della ricerca»