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L’amara bellezza del grigio. ‘Morti di sonno’, romanzo grafico di Davide Reviati, ed. Coconino Press

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Beati coloro che potranno visitare Cuori bruciati, l’esposizione dei disegni originali di Davide Reviati, in mostra dal 4 maggio fino al 16 giugno a Ravenna all’interno del programma Scrittura Festival 2019. I disegni sono estratti da Sputa tre volte (2016), dall’ancora inedito Chickamauga e dal pluripremiato Morti di sonno (2009), capolavoro fin dalla copertina con un ragazzo alla Goya che vi scruta. Sfogliate le pagine e trovate cieli che incombono più plumbei del fumo che si innalza dalle ciminiere, con i corpi e gli oggetti deformati dal segno caricaturale e grottesco dell’espressionismo tedesco, con quei bianchi che illividiscono e quei neri che angosciano.

A tratti il reale, poi, sfuma nel fantastico. Da pittura metafisica. Il grigio è la cifra dominante nei disegni e nei cuori. Malinconiche parole vi accompagnano con intensità e la storia cresce poco alla volta davanti ai vostri occhi, sempre più stupefatti per l’amara bellezza delle centinaia di tavole che compongono il romanzo grafico di Davide Reviati – Morti di sonnoCoconino Press, 2009, pp.350, euro 17 – sintesi perfetta di una pluriennale ricerca tra pittura, illustrazione e disegno. Leggete e guardate: “Per la prima volta la fabbrica entrò nelle nostre vite. Senza bussare. Pare stia lì da secoli, ma non sono neanche vent’anni che l’hanno inaugurato. Si può dire che ci siamo nati in grembo all’ANIC. E lui era lì ad aspettare il nostro primo respiro. Ansioso di abbracciarci. Ma quel giorno scoprimmo che questo nostro paradiso ha un prezzo. La paura.” All’ombra di uno dei luoghi più pericolosi d’Italia cresce un gruppo di ragazzini. C’è una scena in Deserto rosso (1964) di Antonioni, quando Giuliana (Monica Vitti) passeggia davanti alle ciminiere del Petrolchimico di Ravenna con suo figlio. Di fronte al fumo pestilenziale il bambino chiede alla madre: “Perché quel fumo è giallo?” “Perché c’è il veleno”, risponde lei. “Allora se un uccellino passa lì in mezzo, muore.” , afferma il piccolo. “Sì” – dice Giuliana – “ ma gli uccellini ormai lo sanno e non ci passano più. Andiamo.”

Dieci anni dopo gli operai di quel petrolchimico ancora non sanno quel che avevano imparato gli animali. Non solo ci lavorano, ma lì vivono con le loro famiglie, sotto quei lunghi, puzzolenti e pericolosi camini. L’ANIC, Azienda Nazionale Idrogenazione Idrocarburi, una delle industrie petrolchimiche più importanti d’Italia, venne fatta costruire da Enrico Mattei alla metà dei ’50 del secolo scorso e con lei vennero edificate le case dei suoi lavoratori. Una piccola comunità che aveva a disposizione piazza, chiesa, parchi, negozi e farmacia. Il modello erano i villaggi industriali che dall’ 800 fino al ‘900 avevano costellato l’Europa delle miniere, della siderurgia e del tessile, prima, e del chimico, infine. I progetti urbanistici per dipendenti di Mattei (Ravenna, Gela, Corte di Cadore o quello della sede centrale a S. Donato) avrebbero dovuto essere il corollario sociale dello sviluppo economico e culturale del paese di cui l’industria italiana sarebbe stata il perno.

Siamo fortunati ci ripetono, perché abbiamo una casa e i nostri padri hanno un lavoro sicuro.” Già, un lavoro sicuro. Ma allora quell’allarme che ogni tanto suona per le strade ad avvisare della fuoriuscita di gas tossici? Quel fiume ogni tanto più nero del solito? E poi i padri che ogni tanto si ammalano e muoiono? Sembra quasi di sentirlo l’acre odore delle sostanze chimiche liberarsi nel cielo ravennate, mentre i ragazzi giocano nel campetto con Rino, detto Koper per le orecchie come le antenne di Tele Capodistria, a raccontarci delle esplorazioni e delle partite di calcio (“che viene prima di tutto”) con i suoi compagni, i fratelli Lo Cicero (“che menano come fabbri”), Ermes (“che non ha rivali sulle palle alte”), Rolfo (“che Albertosi gli fa una pippa”), Iper (“uno stopper coi fiocchi”), Gino (detto Scartigno), Ivano (“che sembra Cruyff”), Lario…

Tra sogni e speranze, tra paure e famiglie in disgregazione, Reviati ripercorre sul filo della memoria, e senza nostalgia, la storia di un quartiere, metafora di un intero paese. Gente che arriva da ogni dove per lavorare, la solidarietà tra famiglie, la spensieratezza dell’infanzia, i malesseri dell’adolescenza, la consapevolezza crescente di vivere in un ambiente malsano, i repentini cambiamenti dell’industria, l’emarginazione sociale, la maturazione – “può succedere che un’estate lunga dieci anni finisca in mezzo minuto” – la tossicodipendenza. Le immagini si sposano meravigliosamente ad un testo scritto con tono dolente, poetico, che rende Morti di sonno un imperdibile romanzo sulla fine dell’innocenza di una generazione cresciuta e maturata tra i ’70 e gli ’80, che va a chiudere simbolicamente la sua parabola, e quella dell’intero paese, con la vittoria dell’Italia ai mondiali dell’82. Da (ri)leggere assolutamente.


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