di Marco Omizzolo
Si chiama Quinta Mafia ed indica un modello d’organizzazione mafiosa, originaria della provincia di Latina ma in estensione in molte altre regioni italiane, in cui diversi clan appartenenti a diverse organizzazioni mafiose coordinano le loro attività legali ed illegali per mezzo di una governance unica in grado di garantiere più agevoli processi di insediamento e radicamento nella vita sociale, politica ed economica del territorio. Un coordinamento che in provincia di Latina coinvolge Casalesi, ‘ndrangheta, mafia siciliana e Camorre che agiscono in collaborazione con la criminalità locale, a cui viene insegnato il “mestiere” o con criminali stranieri che imparano come “stare al mondo”. Ciò vale, ad esempio, con riferimento al clan Ciarelli o Di Silvio, come si vedrà, imparentati coi Casamonica e da tempo braccio operativo delle organizzazioni mafiose citate, ormai divenuti anche autonomi, oppure ad alcuni soggetti criminali indiani, come da tempo denunciato dalla cooperativa In Migrazione e Eurispes, al centro di un sistema di traffico internazionale di esseri umani e di caporalato che garantisce loro lucrosi profitti.
È chiaro che il contesto socio-economico del territorio, la grande attrattiva di investimento che ancora offre la costa pontina insieme alle aree di maggiore pregio ambientale (sono da valutare con grande attenzione i progetti infrastrutturali, soprattutto portuali, proposti lungo la costa e all’interno, ad esempio, del lago di Paola) e un tessuto produttivo florido, a partire da quello agricolo e florovivaistico, con riferimento in particolare ad alcuni clan, “padroni” di aziende agricole avviate mediante l’impiego di denaro probabilmente illecito, come nel caso dei Di Girolimoni, hanno favorito un precoce radicamento delle varie mafie a partire da quelle campane, siciliane e calabresi. Aziende dove il grave sfruttamento lavorativo dei braccianti soprattutto stranieri è all’ordine del giorno, come denunciato da alcuni dossier come “Doparsi per lavorare come schiavi” ancora della cooperativa In Migrazione.
La presenza, in provincia di Latina, della criminalità campana, in particolare di persone strettamente legate al clan dei Casalesi, è sancito in via definitiva dalla sentenza emessa col procedimento istruito dalla DDA di Roma (c.d. “Anni 90” ) in cui si dà atto dell’esistenza, nel Comune di Castelforte, nel Sud Pontino, di un gruppo criminale autonomo ma collegato con il clan campano attraverso Beneduce Alberto e Michele Zagaria. Un “sistema” che è stato rilevato anche dalla Dia la quale afferma, ad esempio, la presenza, nel territorio, degli Alvaro di Sinopoli (RC) e dei reggini Bellocco e Tripodo ad Aprilia, nonchè dei vibonesi La Rosa-Garruzzo a Fondi. Con l’operazione “Acero Connection-Krupy”, conclusa nel 2015 con l’arresto di 54 persone (decreto di fermo emesso dalla DDA di Reggio Calabria ed eseguito dalla Polizia di Stato e dai Carabinieri di Latina), si è avuta conferma dell’operatività delle cosche Aquino-Colluccio di Marina di Gioiosa Ionica (RC) e Commisso di Siderno (RC). Il gruppo criminale aveva costituito una società, con sede legale a Roma e base operativa a Latina, attiva nel commercio florovivaistico con l’Olanda, funzionale ad occultare cocaina a bordo dei Tir utilizzati per il trasporto dei fiori (a marzo del 2018, il Tribunale di Latina ha confermato le accuse con condanne a carico di quasi tutti gli indagati). Nello stesso contesto investigativo, nel 2017, sono stati sequestrati beni per 30 milioni di euro. Rilievi e processi che sconfessano tutti coloro che ancora pensano che il territorio sia solo occasionalmente condizionato da mafie e dai loro interessi, volutamente dimenticando, ad esempio, l’omicidio per “incaprettamento” di Don Cesare Boschin, a borgo Montello, nel 1995, dopo aver denunciato i traffici illeciti di rifiuti gestiti da poteri industriali nel Nord del Paese e dai Casalesi, in particolare dagli Schiavone. Omicidio sul quale è calata ancora una nera coltre di silenzio.
Il litorale pontino rappresenta una zona di insediamento anche di altri sodalizi campani. Già l’operazione “Sfinge” del 2010, condotta dalla Polizia di Stato, aveva fatto luce su un’organizzazione camorristica, alleata con il clan dei Casalesi, che aveva riproposto il modello criminale tipico del casertano per il controllo del traffico di stupefacenti e delle estorsioni, nei territori di Latina e Roma (al termine dell’indagine venivano sequestrati beni per 4 milioni di euro tra cui una villa a Nettuno). Si ricorda anche la presenza, soprattutto sul litorale, dei gruppi campani dei Bardellino, Bidognetti, Giuliano, Mallardo e Licciardi (si ricorda, peraltro, l’arresto di un pericoloso latitante, reggente del clan camorristico napoletano dei Cuccaro, avvenuto nell’ottobre 2015 nella zona di Cisterna di Latina). Sintomatico del radicamento del territorio pontino è la confisca di circa 90 immobili e 5 complessi aziendali, per un valore complessivo di oltre 20 milioni di euro mentre contestualmente il Tribunale ha disposto nei confronti del relativo imprenditore l’applicazione della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza per 3 anni, eseguita il 21 febbraio 2018.
L’imprenditore, vicino al clan dei Casalesi-gruppo Bidognetti, era impegnato in molteplici attività, quali la gestione di cave di marmo, il trasporto di merci su strada, lo smaltimento di rifiuti e il commercio di autoveicoli (questo criminale era gravato da numerosi precedenti, anche di natura associativa, relativi al traffico di stupefacenti, al riciclaggio, allo smaltimento di rifiuti illeciti e all’insolvenza fraudolenta). Nel semestre di riferimento sono stati, inoltre, arrestati diversi pregiudicati campani.
Nell’ordine, il 12 gennaio 2018 è stato individuato ed arrestato a Formia (LT), dopo un conflitto a fuoco con i Carabinieri, un latitante affiliato al clan Ranucci di Sant’Antimo (NA). Il successivo il 31 gennaio 2018, è stata invece tratta in arresto, a Gaeta (LT), una donna, madre di un affiliato al clan De Micco, del quartiere napoletano di Ponticelli.
Per quanto attiene ad altri sodalizi, l’area pontina risente anche della presenza, come già accennato, delle famiglie di origine sinti come i Di Silvio e i Ciarelli, ormai stanziali sul territorio e in alleanza con importanti referenti istituzionali come l’ex deputato di Fratelli d’Italia, Pasquale Maietta. Ne è testimonianza l’operazione “Alba Pontina” della Polizia di Stato, che il 12 giugno 2018 ha arrestato 25 soggetti, appartenenti al clan Di Silvio, attivo nella zona di Campo Boario di Latina, noto anche per la parentela coi Casamonica. L’organizzazione si era specializzata nell’acquisizione, mediante intimidazioni, delle attività economiche del posto. L’operazione “Arpalo”, conclusa il 16 aprile 2018 dalla… Continua su mafie