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La dignità di un uomo

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di Leonardo Guarnotta

Unknown«Mia moglie mi guardò e disse: “I tuoi occhi già mi dicono che cosa hai intenzione di fare; allora fallo, se ritieni che sia tuo dovere”. Alzai quindi la cornetta per fare a Caponnetto quella telefonata».
È così che Leonardo Guarnotta ci racconta di come entra a far parte del pool antimafia di Palermo, quarto e ultimo tassello di una squadra che diverrà poi molto affiatata, un gruppo di giudici che farà della lotta alla mafia la propria missione.
Il pool, nato da un’idea di Rocco Chinnici e fondato dopo la sua morte da Antonio Caponnetto, è composto, oltre a Guarnotta, da Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello.
Si tratta di un progetto nuovo e particolarmente innovativo in questo campo: la professionalità di ognuno era messa a disposizione degli altri, in un clima di scambio, confronto e condivisione.
Lavorando a stretto contatto, le notizie e le informazioni sulle indagini evitavano di disperdersi e costruivano una struttura di discontinuità, la cui priorità assoluta era l’azione di contrasto giudiziario della mafia.
In un periodo storico in cui la mafia era considerata da tanti, spesso anche dagli stessi rappresentanti delle istituzioni, alla stregua di un’invenzione giornalistica, il pool lavorava per combattere Cosa Nostra. Nondimeno si opponeva al fatalismo fondato sull’idea che l’omertà, l’assenza costante di prove e l’egemonia di queste organizzazioni nel tessuto sociale e economico del territorio ne decretassero l’impossibilità di contrastarla.
Era consuetudine trattare gli episodi di criminalità singolarmente, come casi a sé stanti. E in questo modo i nessi, purtroppo, sfuggivano.
Il loro lavoro nasce quindi dalla profonda necessità di avere una visione d’insieme della mafia, che si intuiva essere un’organizzazione vasta e unitaria, un vero e proprio antistato nello Stato.
Non diamo per scontato tutto ciò che oggi sappiamo a riguardo: la mafia era vista come un fenomeno marginale, circoscritto al Meridione e perciò spesso trascurato.
Solo lo strenuo lavoro ha portato il potere politico a prendere coscienza dell’improcrastinabilità dell’adozione di misure idonee volte ad arginare l’espansione della criminalità mafiosa.
All’interno del pool, nessuno predominava sugli altri: lavoro e cariche erano del tutto paritarie, ma si può dire che, per le sue grandi capacità (tra le altre un’incredibile memoria e comprensione del fenomeno), Falcone era il capo indiscusso.
Uno dei suoi meriti è stato l’introduzione di un nuovo metodo di lavoro basato sulla riservatezza e su una puntuale verifica di tutto ciò che poteva essere rilevante nelle indagini. Falcone, nonostante fosse imbrigliato nel pendolarismo tra sconfitte e successi, aveva un forte senso dello Stato, credeva nel valore delle istituzioni e nel loro corretto funzionamento.
Grazie al suo esempio ci sono ora in tutta Italia centinaia di processi contro le organizzazioni criminali e finalmente cade l’alibi di una mafia imprendibile e invincibile.
Borsellino e Falcone, uniti da un fil rouge già dai tempi dell’adolescenza trascorsa nel rione Kalsa di Palermo, hanno posto per la prima volta la domanda «Che cos’è Cosa Nostra?» e hanno trovato risposta in un’organizzazione complessa che esercita totale controllo sulle attività economico-criminali nei territori di cui si considera sovrana.
Nessuno si era mai spinto così oltre, inquadrando gli episodi nella logica e nelle dinamiche del gruppo criminale di cui sono espressione. Diviene visibile una rete di connessioni internazionali che si sviluppa alacremente ogni giorno nel buio, mettendo radici profonde nel substrato del territorio.E allora è necessario e indefettibile far conoscere a tutti che cos’è la mafia, affinché se ne tengano lontani e far comprendere loro che non è affatto vero che con essa conviene convivere, come ebbe incautamente ad affermare un ministro della nostra Repubblica qualche tempo fa.
Questo drappello di magistrati ha abbattuto il muro dell’omertà, ripristinando il primato del diritto e della legalità contro la violenza, l’arroganza e la tracotanza.
«Giovanni e Paolo erano soltanto due giudici, ma due grandi giudici e due grandi uomini le cui doti di professionalità, di intuito giuridico, di preparazione, di assoluta dedizione alla causa, di senso dello Stato e di spirito di servizio, costituiscono, ormai patrimonio conoscitivo di ognuno di noi.
Soprattutto per chi non ha vissuto quegli anni, la figura di Falcone appare come una figura austera e inarrivabile, frutto di un’idealizzazione che solo parzialmente ha abbracciato la sua personalità».
Sorridiamo leggendo di come dopo un clamoroso errore a inizio carriera – una papera! – abbia cominciato a collezionare paperelle, recuperate in ogni dove, di qualsiasi materiale o colore, come monito, perché lui di papere non voleva più saperne».
I ricordi ricostruiscono un uomo autentico, che incarna allo stesso tempo il giudice puntuale e preciso e il collega che si cimenta giocondamente in battaglie con le molliche di pane o in gare su chi possedesse la penna stilografica più bella.
«Ricordo che rimanevamo in ufficio anche fino al tardo pomeriggio, a volte fino a sera, e ci mettevamo un po’ in libertà togliendoci la giacca e la cravatta e indossando un maglione: il mio era verde e il suo rosso.
Lavoravamo in silenzio, con le porte delle nostre due stanze aperte e più volte è capitato che, a una certa ora, lui mi dicesse: “Leonardo, guarda che si è fatto tardi, leviamo il disturbo allo Stato”.
Tra le righe leggiamo il suo coraggio, la sua passione, gli stati d’animo, la determinazione con cui ha perseguito il suo obiettivo anche a costo della vita: la figura del magistrato ci riflette quella del collega, del marito, dell’amico.
Ed è proprio questa l’eredità simbolica che Falcone ci ha lasciato: il cambiamento è sempre possibile attraverso i valori di giustizia, legalità e rispetto dei diritti umani.
Nel contesto temporale odierno, in cui sembra smarrito il senso profondo dell’interesse generale, fare antimafia è il dovere di ognuno di noi: in questo consiste la dignità di un uomo.

(sintesi di Valeria Frigau)

Da mafie


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