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La carica d’emergenza dei medici pensionati

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Scatta la carica dei medici pensionati. L’allarme era già partito nel 2015, ma era rimasto inascoltato. Adesso la mancanza di medici si è trasformata in una emergenza e così, come rimedio immediatamente percorribile, si è aperto il rubinetto del reclutamento dei medici andati in pensione.

L’innovazione tecnologica, l’economia digitale, l’automazione causa e causerà una valanga di disoccupati in un mondo produttivo in profonda trasformazione ma nel Servizio sanitario nazionale invece il lavoro c’è. Anzi, sempre di più ci sarà e sempre di più ci sarà penuria di medici.

Gli ospedali e gli ambulatori dei medici di base rischiano di chiudere per la carenza di dottori. Così Veneto, Friuli e Molise, le regioni più in crisi, hanno rotto gli indugi: hanno deciso di richiamare in servizio i pensionati. Luca Zaia prima ha messo le mani avanti: «Il Veneto non immagina una sanità in mano ai pensionati, il futuro deve essere dei giovani». Però il presidente della regione Veneto ha ammesso: «Non avevamo alternative se non ricorrere a questa soluzione». Il deficit dei dottori più esattamente è colmato con «conferimento incarichi di lavoro autonomo a personale medico in quiescenza». Il buco negli organici dei medici in Veneto è di 1.300 unità.

I concorsi di medici negli ospedali in molti casi vanno deserti. Mancano soprattutto gli specialisti in medicina d’urgenza e in pediatria. Scarseggiano anche anestesisti, cardiologi, ginecologi, ortopedici e psichiatri. Basta andare a un pronto soccorso di un ospedale, se purtroppo c’è la necessità, per vedere da vicino una realtà infernale: pochi medici devono affrontare una valanga di richieste d’interventi e le attese in condizioni precarie possono anche durare ore. Poi c’è il problema, soprattutto a Roma e nelle regioni meridionali, di trovare un posto letto libero nel reparto. Così, anche pazienti in condizioni gravi, si possono ritrovare su una precaria barella in attesa di una assistenza sanitaria degna di questo nome.

Oltre al Veneto, Friuli e Molise le crisi maggiori sono vissute da Piemonte, Lombardia, Toscana, Puglia, Calabria e Sicilia. I medici vanno in pensione e i nuovi ingressi di giovani non sono sufficienti a colmare i vuoti. Non mancano gli studenti in medicina. Le scuole di specializzazione sono il grande problema: il numero chiuso negli accessi è insufficiente per bilanciare gli esodi pensionistici. Va riprogrammato tutto e, se va bene, occorrono anni.

Così fioriscono le più diverse soluzioni tampone. Veneto, Friuli e Molise hanno pensato di ricorrere al soccorso dei pensionati, nel Piemonte invece si sta facendo ricorso perfino ai “medici in affitto”, pagati a caro prezzo, per assicurare i livelli essenziali di assistenza sanitaria.

Non va meglio per i medici di base. Le difficoltà sono forti soprattutto in Lombardia, Lazio, Sicilia e Campania. L’Italia ha 89 medici di famiglia ogni 100.000 abitanti contro i 253 del Portogallo, i 179 dell’Irlanda, i 159 dell’Austria, i 157 dell’Olanda e i 153 della Francia.

Già nei prossimi mesi la situazione potrebbe drasticamente peggiorare.  Molti medici sono tentati di lasciare anticipatamente il lavoro andando in pensione con la cosiddetta “quota 100” (almeno 62 anni di età e 38 di contributi previdenziali). Nei prossimi cinque anni c’è il rischio di affrontare l’esodo biblico di 50 mila medici, circa la metà dei camici bianchi italiani.

La sanità pubblica italiana, di qualità discreta, è afflitta da anni da gravi problemi. Prima, a causa dei conti disastrati, le regioni sono state costrette a risparmiare chiudendo molti ospedali più piccoli e ricorrendo al blocco delle assunzioni. L’età media dei medici si è alzata molto ed ora ospedali e ambulatori rischiano di chiudere i battenti per l’assenza dei camici bianchi. La sanità è un servizio pubblico essenziale con un lavoro altamente qualificato. L’ancora di salvezza immediata è la carica dei dottori con i capelli bianchi, i pensionati con la voglia di restare attivi.

Un’altra strada ci sarebbe: assumere con una “sanatoria” 10 mila medici senza specializzazione perché le scuole a numero chiuso non hanno permesso l’ulteriore formazione professionale. Infine c’è la strada dell’importazione dei medici stranieri. Il Veneto potrebbe assumere 400 dottori con carta d’identità estera.


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