La breve vita di Elisabetta Gagliardi

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di Marta Bigolin

Maria Marcella (madre)Questa storia racconta di un regolamento dei conti per mano della mafia. Una dinamica che, purtroppo, siamo abituati a rivivere quando ci approcciamo a determinati periodi storici o certi contesti territoriali ad alta densità mafiosa. Quello a cui non ci si riesce ad abituare mai, è la crudeltà e l’efferatezza con cui certi gesti verso innocenti siano stati compiuti da altre persone. Morire all’età di nove anni, colpiti da due colpi di pistola alla nuca, non è concepibile.
È stata uccisa così, di spalle, Elisabetta Gagliardi perché non si aspettava di trovare gli aguzzini della madre in casa. Fino ad un attimo prima, lei era in giardino a godersi gli ultimi giorni di vacanza prima del rientro a scuola per cominciare la sua quarta elementare. Sentiti degli strani rumori nella sua abitazione, decise di andare a vedere di cosa si trattasse. Chissà se a quell’età, in quel paesino sperso in mezzo alla campagna di Catanzaro, Elisabetta avesse capito che erano colpi di pistola. Sicuramente lo spavento la condusse dentro, a cercare la madre.  Le hanno sparato alla nuca, come si spara ad una preda che scappa in un giorno di caccia. Indifesa, impaurita e, probabilmente, consapevole di essere sola.
Era il 7 settembre 1990, a Palermiti (Catanzaro), un paesino a 480 metri sul livello del mare tra il golfo di Squillace e le Serre Catanzaresi. Un paese dove tutti conoscono tutti, dove Elisabetta si era trasferita da Milano con la mamma Maria Marcella e il padre Mario Gagliardi. Quest’ultimo, sebbene avesse un passato da pregiudicato per rapina, era tornato a vivere con parte della famiglia a Palermiti; si occupava del movimento terra. Rimasero a vivere nel capoluogo lombardo la figlia Annamaria, di venticinque anni, e il figlio Diego, di ventiquattro. Quel giorno, però, mentre Mario si trovava in paese, la moglie e la figlia erano rimaste in contrada Sanguria, a due chilometri di distanza circa, nel loro ristorante in costruzione, raggiungibile da una stradina sterrata. Durante l’estate era stato aperto agli amici di famiglia, ma i titolari erano in attesa che finissero i lavori di costruzione del primo piano per poter avviare l’attività, sebbene già in possesso di regolare licenza intestata alla figlia maggiore.
Quel giorno di settembre Maria, la madre, fu colpita per prima, mentre era dietro al bancone, da 23 colpi di pistola provenienti da tre diverse armi. Elisabetta, invece, da due colpi secchi alla nuca. Poi gli assassini  sbarrarono le finestre e resero inaccessibili gli ingressi. All’arrivo degli inquirenti, fu proprio il corpo inerme di Elisabetta, ad essere ritrovato per primo. Non fu immediato il ritrovamento del corpo della madre; solo i bossoli di pistola sparati segnalavano la presenza di un altro morto. Gli inquirenti erano stati condotti in quel cascinale praticamente sconosciuto da un antefatto. Il pomeriggio del giorno stesso, anche Mario, il padre, era stato coinvolto in una sparatoria assieme ad un imprenditore edile. Ed entrambi, sebbene a distanza di qualche ora, si erano recati in ospedale per farsi medicare. Le indagini, quindi, erano già partite e ben presto arrivarono a quel tragico ritrovamento.  Gli articoli di cronaca di quei giorni, spiegano che si trattò di un’esecuzione e che i due fatti erano certamente collegati. Questioni di estorsione ed edilizia. E di cosche mafiose. Ma l’allora sindaco dichiarò a gran voce che il delitto era stato sicuramente concepito lontano da lì, che la mafia non c’era mai stata e respingeva l’accusa di comune mafioso.
I funerali di Elisabetta, insieme a quello della madre, si tennero due giorni dopo la loro morte. Furono utilizzate due bare identiche perché a Palermiti non ne esisteva una che contenesse il corpo della giovane vittima di mafia.

Da mafie


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