«Raccontare è la conseguenza di un modo di essere e di concepire le relazioni con le persone, di sentirsi in sintonia, ma anche in conflitto, con il mondo», afferma Daniele Gaglianone, il regista cinematografico che ha recentemente portato nelle Sale italiane il film Dove bisogna stare. Protagoniste sono quattro donne: Lorena, Elena, Georgia, Jessica, di età e luoghi diversi. Ognuna di loro racconta un’esperienza d’impegno per l’accoglienza a rifugiati e migranti.
«Le testimonianze, la quotidianità, i pensieri delle quattro protagoniste compongono il ritratto di un Paese ancora capace di mettere al centro del proprio agire la dignità e la solidarietà. Questo film – rileva Gaglianone, incalzato da Riforma.it – è stato un’occasione per intraprendere un viaggio nel mondo; viaggi, come per gli altri film, che senza la mediazione cinematografica forse non avrei potuto fare».
Tra i film del regista: Qui, dedicato ai residenti della Val di Susa che si oppongono al progetto dell’alta velocità Torino – Lione; La mia classe, dove un maestro impartisce lezioni a studenti stranieri; e ancora Ruggine, che indaga sulle violenze ai minori; I nostri anni, film che ricorda il ruolo della memoria e della resistenza. Tutti, in qualche modo, ci parlano di resilienza.
«L’esperienza umana è ciò che m’interessa di più e che cerco di rappresentare. Storie di vita che solitamente rubano la scena al prodotto cinematografico. Dove bisogna stare può essere declinato in tanti modi: dove “io” ho bisogno di stare, o ancora, qual è il mio, il nostro, il loro, posto nel mondo. È evidente che un luogo, anche se non fisico, in cui poter stare è necessario a tutti, come rifugio per difendere le proprie posizioni, i propri principi, le proprie convinzioni e idee. Il titolo esprime anche un bisogno interiore e profondo, direi intimo, quello della ricerca di se stessi».
Questo emerge dalle esperienze raccontate dalle protagoniste?
« Lorena, Elena, Georgia, Jessica, sono la testimonianza diretta di quel bisogno di fare qualcosa d’importante, di dare un “senso” al mondo e alla vita. Sono anche un esempio di resistenza perché lottano per cambiare ciò che ritengono ingiusto. Dietro e dentro alle loro scelte ci sono delle azioni, delle decisioni e delle parole nobili: altruismo, volontariato, dedizione, coerenza, empatia, umanità. L’azione spesso indica una via necessaria e utile per cambiare le cose».
Serve un cambiamento di rotta?
«La nostra società è schizofrenica. Una schizofrenia che investe in particolar modo la società bianca europea. Viviamo in un mondo globalizzato nel quale possiamo ricevere pacchi, foto e immagini dall’altro capo del mondo; dov’è possibile comodamente seduti sul divano di casa collegarsi ovunque grazie al web. Chiusi tra quelle pareti e condizionati da mille sollecitazioni, bisogni e paure indotte, spesso però creiamo muri e fili spinati di separazione. Non cedo che questo sia normale».
Film, azioni concrete e parole di denuncia possono aiutare a far riflettere?
«Certo, se usate con attenzione, cautela, cura e deontologia professionale. Le parole, se utilizzate in modo scorretto, possono diventare pietre. Anche il racconto, le fiction possono alterare l’immagine del mondo reale. Una delle eredità più tragiche del Novecento è quella “ereditata” dal ministro della propaganda nazista Goebbels: se racconti una bugia e la ripeti un milione volte, questa diventa una verità. Una rappresentazione distorta e non reale di un Paese può far diventare quel Paese come l’immagine più volte proposta. L’Italia, le italiane e gli italiani, sono diversi da come vengono raccontati e rappresentati».
Gli italiani residenti all’estero per le elezioni europee hanno votato diversamente rispetto agli elettori in Italia.
«Gli italiani pagano il prezzo di una campagna mediatica e politica distorta della realtà. Chi vive fuori dall’Italia è immune alle pressioni imposte e agisce diversamente».
Anche i media italiani hanno delle responsabilità?
«Rispondo così, quando realizzai il film dedicato al movimento di lotta contro la Torino-Lione decisi fare molti incontri con le persone della Val di Susa per farmi raccontare le loro storie e conoscere le posizioni relative alla contestazione del progetto. Molti giornalisti di testate importanti, uscito il film, mi chiesero come fossi riuscito a trovare quelle testimonianze e quelle persone così interessanti. Risposi: dove avreste potuto trovarle anche voi. Sempre più spesso i giornalisti lavorano seduti davanti alla scrivania, raccolgono cinguett
Se non si guarda negli occhi l’altro e non si aprono gli occhi per guardare il mondo?
«Si resta prigionieri di codici prefigurati. Oggi è necessario cambiare le cose evitando di entrare in palcoscenici preallestiti».
Come?
«Dal 1989 in poi abbiamo ritenuto ch il sistema economico imposto non avesse alternative accettando di fatto un modello liberista. Un modello economico che ritengo violento e che ci ha portati a una deriva culturale e antropologica devastante. Oggi è evidente quanto questo sistema sia spesso iniquo, privo di mobilità sociale».
Più che di «resilienza» avremmo bisogno di «resistenza»?
«Tutte e due, l’una deve scivolare nell’altra. É importante essere flessibili, adattarsi a questo mondo complesso ma anche saper lottare e rifiutare le ingiustizie, senza essere tolleranti ad ogni costo. Ci sono cose che non possono essere tollerate e soglie che non possono essere superate. Come ad esempio quando qualcuno, ancora oggi, afferma che fosse giusto sterminare vecchi, donne e bambini nelle camere a gas. Ecco, queste affermazioni non sono tollerabili. Per chi dice cose di questo tipo, non possono e non devono esserci margini di dialettica. Primo Levi con amarezza ammoniva: ciò che è successo può accadere di nuovo. Ciò che accadde allora nacque da una visione distorta del rapporto che l’Europa ebbe con le diversità. Oggi la storia può ripetersi. L’Europa o troverà il coraggio per ripensarsi con serietà o sarà destinata a fallire e a sbattere nuovamente contro uno di quei muri oggi in costruzione».
Da Riforma.it