Leggere la sua storia è disarmante: un curriculum umano e professionale ferrigno, gagliardo. Resistente. In magistratura dal 1967, ha attraversato con le sue inchieste la Storia italiana del tramonto del Novecento: dagli Anni di Piombo al processo a Giulio Andreotti, dagli arresti di Bagarella e Brusca alla candidatura per diventare Presidente della Repubblica. È Gian Carlo Caselli, un Uomo con gli occhi brillanti di curiosità e di voglia di capire, del desiderio di comprendere quegli equilibri che spingono gli uomini a fare le scelte giuste, ma anche le scelte sbagliate. Quelle di cui lui, da magistrato, da pubblico ministero, si è occupato. Questa grande “curiosità” unita alla “bramosia di comprendere” che i suoi occhi hanno dovuto sostenere, l’ha portato a cercare le risposte agli interrogativi che lo hanno attanagliato nella sua vita e nel suo lavoro. Convincere sé stesso prima ancora di poter pensare di convincere qualcun altro. Coraggio e determinazione, forza e senso del dovere; queste le caratteristiche che fanno di Gian Carlo Caselli la persona straordinaria che effettivamente è. Un giudice Resistente.
Resistente agli attacchi che gli son stati rivolti per impedirgli di superare quella soglia che avrebbe dovuto superare, con la mancata nomina a Procuratore Nazionale Antimafia che solo uno scippo – riuscito anche maldestramente – ha potuto fermare; chissà cosa sarebbe successo. Chissà perché si sono fatte letteralmente “carte false” per bloccare quella carriera.
Ma la vera Resistenza è quella che sconfigge gli avversari con la voce della Verità, che il galantuomo tempo mette infine sotto gli occhi di tutti. Gian Carlo Caselli parlava di pervasività della criminalità organizzata, delle mafie, al Nord quanto il mantra politico era: «Qui la mafia non esiste!». Oggi i fatti smentiscono politici e amministratori, che si svelano essere gli inerti e asserviti “portinai” che hanno aperto le porte ai mafiosi; che han permesso al malaffare di contaminare città e regioni già Medaglie per la Resistenza. Ma la Verità – quella vera; quella di Gian Carlo Caselli – arriva solo al termine di un percorso di studio e di analisi profondo, di inchieste che si basano su contatti e collaborazioni con persone di cui ci si fida.
Persone di cui ci si può fidare, grazie alla capacità di instaurare rapporti umani; grazie alla capacità di giudicare le persone. È questa la forza di un Procuratore della Repubblica: capire la persona che si trova davanti. Sia per quanto riguarda gli indagati, che per coloro che sono chiamati a lavorare alle indagini curate dal Procuratore. E allora ecco che il giudice Resistente si veste di un’umanità che costituisce la vera differenza. Senza umanità, senza capacità di comprendere l’animo umano, non c’è indagine. Perché ogni inchiesta si fonda su fatti “umani”, che solo chi è avvezzo a esaminare la componente umana dei fatti è in grado di comprendere a fondo.
Ho potuto stare vicino al Giudice Resistente agli inizi degli anni Ottanta, quando da giovane carabiniere di leva mi sono trovato a prestare servizio nei processi a Prima Linea e alle Brigate Rosse, a Torino, nell’aula bunker delle “Molinette”. Dopo una ventina di anni, smessa la divisa e preso in mano il microfono, ho avuto modo di intervistarlo; una volta nella “mia” Brescello, dov’era venuto per parlare di terrorismo islamico, e una seconda volta a Mantova, durante l’incontro con i ragazzi di una scuola, a cui parlava di lotta alla criminalità organizzata.
L’ultima volta è stata nel mese di marzo, a Torino, poco prima dello spettacolo “Va pensiero” del Teatro delle Albe nell’incontro organizzato con i giornalisti piemontesi per parlare di come il teatro di Marco Martinelli e Ermanna Montanari potesse raccontare la storia di un vigile urbano che a Brescello si opponeva alla logica del malaffare. Determinante è stato sentire la vicinanza di Gian Carlo Caselli dove le sue parole di approvazione e di riconoscenza per l’impegno di quel carabiniere di leva, con cui si era incontrato trent’anni prima a Torino è riuscito a contagiare con la sua fama e la sua voglia di comprendere l’umanità delle persone e dei loro comportamenti.
È contagioso, il Giudice Resistente; basta averlo vicino e il suo spirito ti pervade e con la sua purezza e la sua chiarezza. Non si è più la stessa persona, una volta che si è incrociato il suo sguardo perché gli occhi parlano nel silenzio dell’animo e perché ha saputo essere un grande Giudice. È bello ringraziarlo per il suo ottantesimo compleanno (compiuti il 9 maggio) ed è bello scrivere: Tanti auguri, Gian Carlo Caselli, Giudice Resistente.
Giancarlo Caselli un magistrato di lungo corso. L’ho conosciuto a Torino dove era stato invitato al dibattito “La mafia dal sud al nord. Raccontare la mafia che cambia e le sue infiltrazioni” che anticipava lo spettacolo del Teatro delle Albe di Ravenna al Teatro Astra. Presenza mite, quasi discreta, capace di ascoltare con attenzione gli interventi degli altri relatori, cogliendo con precisione i passaggi più salienti appuntando su fogli di carta le parole ascoltate con l’umiltà di chi sa di poter intervenire senza protagonismi e auto celebrazione. Un “servitore dello Stato” la cui biografia professionale e umana segna una testimonianza indelebile a cui va tutta la nostra riconoscenza e stima.
La presenza autorevole di questo magistrato si è rivelata preziosa per riflettere quanto sia importante capire l’evoluzione della criminalità organizzata, nei confronti di un sistema sociale ed economico a rischio infiltrazione e corruzione, come rivelato dalle recenti indagini in Val D’Aosta, Emilia, Veneto e prima ancora in Piemonte. La memoria storica di Caselli è stato determinante per fare chiarezza sull’interpretazione del fenomeno mafioso e su quanto sia retrodatato l’allarme dell’infiltrazione nelle regioni del Nord Italia, inascoltato o non percepito come avrebbe dovuto fare lo Stato per primo. «Il negazionismo sull’esistenza della mafia è un fatto incontestabile e la legalità in Italia non è sempre presente. Ci sono politici che danno il cattivo esempio, mentre coloro che hanno dimostrato di fare il loro dovere hanno restituito onore e credibilità allo Stato».
Pubblicato su www.articolo21.org il 20 marzo 2019