La televisione può battete i social? Può ancora farlo o è spacciata, soprattutto rispetto ad alcune fasce d’età? E può farlo anche sui temi politici? A domande ‘epocali’ va corrisposta una replica spregiudicata. Il tema di fondo non è dei più etici. E si chiama ‘dipendenza’. Il terreno su cui la tv ha perso moltissimo nell’ultimo decennio sta nel tempo di permanenza davanti al mezzo. Per stare sui social, come sappiamo, possiamo essere ovunque, anche al volante della nostra auto, chattando leggendo e soprattutto minacciando la nostra e altrui sicurezza. Ma tant’è.
I risultati conseguiti dalla Rai per l’ultima tornata elettorale, ad esempio, sono stati positivi. Le nuove Tribune politiche, a cura di Rai parlamento, che hanno recepito una (tutto sommato) coraggiosa scelta della Commissione di Vigilanza Rai, sono state premiate sia in termini di share – fino al 4,5% – sia in termini di critica: conduzioni spesso briose e confronti decisamente di taglio anglosassone. È una bella innovazione per la nostra stanca tv. Certo, i social sono lì dietro l’angolo. E non arrancano, anzi, si preparano di fatto al sorpasso – citando l’analisi puntuale di Vincenzo Vita sul Manifesto – perché in termini di penetrazione, tweet e post superano già di gran lunga l’esposizione mediatica da piccolo schermo.
Attenti però alla valutazione in termini di ‘quantità’. I social hanno la peculiarità di poter inondare il mercato delle informazioni come nessun altro media. E di creare ‘dipendenza’. Ma come tutte le dipendenze non solo fanno male, ma lasciano solo danni. Ora, come superare in termini quantitativi la dipendenza da social è complicato, ma una possibile ricetta ci viene nientemeno che da Netflix. Forse i più internauti tra gli internauti avranno letto che in vista della stagione estiva molti si apprestano a dover affrontare l’ansia da astinenza da serie tv! E quando si parla di questo fenomeno si fa riferimento soprattutto proprio a Netflix e compagnia bella di Amazon e Sky (cui lentamente ma speriamo sempre meglio si va aggiungendo RaiPlay).
Chuck Tryon, esperto di cinema e tv, nel suo ‘Political Tv – informazione e satira, da Obama a Trump’ ha scritto che passa molta più politica attraverso ‘House of Cards’, che via social. Che, nel caso nostro, sarebbe come dire che passa più politica attraverso ‘Montalbano’ che via internet. E quindi che la profondità del messaggio è ancora fondamentale, e che l’elaborazione di un pensiero più complesso – almeno di un tweet – può fare ancora la differenza.
Serie e film tv di qualità, sempre più presenti sulle piattaforme citate, in quantità ragguardevoli ormai, presto risponderanno anche al tema della dipendenza. E prima o poi i social segneranno il passo a chi, a o cosa, avrà qualcosa in più da dire, o da dare a tutti quanti si affacciano al mondo digitale con slancio. E quindi è auspicabile che la tv – utilizzando proprio internet a suo favore – potrà riprendere quota e conquistare anche fette di mercato – e fasce d’età – al momento lontane (come i giovanissimi). Ecco perché la sfida è più che mai nei contenuti, a patto però che la serie, il film, e perché no anche il format politico/elettorale debba continuare a essere ben scritto, ben fatto e fruibile facilmente su smartphone e tablet. È l’unico modo per battere sulla distanza questa dilagante bulimia della comunicazione.
Solo una postilla. Ho già visto ai semafori più di qualcuno alla guida guardare qualcosa sul tablet che non fosse un social network. La strada dunque sembra tracciata, ma non c’è bisogno di arrivare a tanto. Voi non fatelo, mi raccomando.