Per chi ha lavorato trent’anni all’Unità è davvero doloroso assistere a questa ulteriore tragicommedia: chiamare un direttore di destra, aggressivo e non certo moderato come Maurizio Belpietro, a firmare il giornale fondato da Antonio Gramsci. Una coltellata alle spalle per i giornalisti da parte degli editori, tanto più che non era assolutamente necessario visto che un direttore c’era per “salvare la storica testata” fuori dalle edicole dal giugno 2017, come va vantando lo stesso Belpietro sul suo giornale, La Verità, per sostenere il suo essere “spirito libero” e pluralista. Sulla pelle degli altri, ma il problema non è Belpietro, è la scelta dell’editore, la Piesse costruzioni di Massimo Pessina e Guido Stefanelli.
L’anno scorso infatti era stato Luca Falcone, giornalista già portavoce dei Pessina, a firmare il numero che avrebbe evitato la decadenza della testata, come prevede la legge dopo un anno di cessazione delle pubblicazioni. E anche quest’anno stava andando così, finché qualcosa è cambiato. Rinviata l’uscita di un giorno, cambiata la gerenza, con su scritto “Maurizio Belpietro direttore responsabile” (mentre nella comunicazione via Pec è definito “direttore editoriale”), modificata anche l’impaginazione del giornale, e per inciso l’azienda si è avvalsa di un service esterno senza richiamare la giornalista grafica e il tecnico poligrafico dell’Unità. Solo una secca comunicazione a cose fatte senza avvertire prima il Cdr, sorprendendo i tre giornalisti richiamati dalla cassa integrazione, i quali hanno levato la loro firma dai loro numerosi pezzi.
Una violazione delle regole appresso all’altra, quindi, oltre alla produzione di un “OEM”, un organismo editorialmente modificato che vede un editoriale di Luca Falcone (non si capisce perché si sia prestato a tutto ciò) che si ispira all’intramontabile ”Odio gli indifferenti” di Gramsci (pubblicato anche in ultima) e si appella allo “sforzo e alla collaborazione di tutti” perché l’Unità torni in edicola. Anche di Belpietro? La modifica grafica ha inserito nel pezzo di centropagina la foto di Salvini sorridente affiancato a Papa Bergoglio, parlando nel titolo di “diplomazie al lavoro al Bambino Gesù”. Il volto buono del ministro dell’Interno col rosario elettorale, uno spottone al leader sovranista pure sull’Unità. Uno scempio. Per di più nel pezzo si cita “La Verità”. Il colmo, purtroppo va letto per rendersene conto.
Tutto ciò accade mentre da mesi si sta svolgendo una “estenuante”, come dice il Cdr, trattattiva per la riapertura del giornale, con gli editori, il Cdr, la Fnsi e le associazioni stampa di Roma e Milano. Un tira e molla continuo da parte dell’azienda, finora sono stati persi tutti i treni utili, dalle primarie alle europee. La proposta di Michele Santoro, interessato e disponibile a affittare la testata e a dirigere il giornale, sono saltati per indisponibilità dei Pessina, sembra. Dal cappello, invece, spunta il coniglio (meglio dire coyote) Belpietro, con l’ambiguità che possa essere considerato direttore, non si sa se editoriale o responsabile, anche di una Unità tornata stabilmente in edicola. Ipotesi politicamente terrificante e pure fuori da ogni logica editoriale. E nel frattempo ventisei giornalisti più sei amministrativi e poligrafici dal primo luglio saranno in disoccupazione, anche le speranze che una dozzina di loro possa riprendere a lavorare si affievoliscono.
Che sia stata una provocazione degli editori scelti da Renzi nel 2015 (affossando il giornale) nei confronti del segretario Pd Zingaretti, un colpo di coda renziano a due giorni dal voto, un modo di mettere alle strette il nuovo Pd per trovare degli acquirenti, perché sempre sui soldi gira tutto, per i giornalisti e i lavoratori dell’Unità la mossa di ieri ha superato il limite. La goccia.
Il comitato di redazione ha fatto appello alle forze democratiche, dal Pd hanno risposto Gianni Cuperlo con un’accorata proposta all’azionariato popolare e altri esponenti, tra cui il tesoriere Zanda che ci stima da sempre, ma dalla segreteria dem è uscita una nota fredda del responsabile comunicazione, Miccoli, mirata a chiarire che il Pd non c’entra nulla con la scelta dell’editore, bollata solo come “furbizia di cattivo gusto”. Perché Zingaretti non risponde in proprio? Attendiamo, nel frattempo saremo in piazza Montecitorio martedì 28 a manifestare perché voci libere come Radio Radicale, il manifesto, Avvenire e tante altre possano parlare. E anche per l’Unità, dal verso giusto però.