Cento anni dalla nascita degli Alpini, novantanove dalla prima adunata sull’Ortigara, teatro di alcune fra le più sanguinose battaglie della Grande Guerra, ed ecco che tornano in mente le canzoni, le sofferenze, lo strazio, i sacrifici e il dolore che questo corpo militare ha dovuto sopportare nel corso della sua storia.
Tornano in mente i giorni delle trincee, del fango, della giovinezza tradita, delle speranze insistenti, dei sogni svaniti; torna in mente la mattanza sulle rive del Don, durante il secondo conflitto mondiale, dispersi nel cuore di una Russia inospitale e nemica, costretti a una ritirata che era, di fatto, una resa senza condizioni, devastante per il morale e per le conseguenze.
Gli alpini sono, forse, il più eroico tra i corpi del nostro esercito, coloro che, non a caso, godono di una popolarità enorme e di una considerazione di cui nessun altro comparto può beneficiare. Sono i sempre presenti, i più autentici, i soldati che non esitano a donare la propria stessa vita per il bene comune, mettendosi in evidenza in ogni circostanza, dalle guerra terremoti, per generosità, coraggio e passione civile.
Cento anni di amore e dedizione, cento anni nel corso dei quali tutto è cambiato ma non la meraviglia delle penne nere, cento anni di tradizioni che resistono e si rinnovano, di una modernità insita in un corpo capace di rinnovarsi pur mantenendo intatti i propri capisaldi, cento anni di bellezza, di incontri, di condivisione del pane e del companatico, di ammirazione e di sorpresa per le imprese che sono tuttora in grado di compiere. Cento anni e siamo ancora qui, a rendere loro omaggio con immutata ammirazione.
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