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Caso Orlandi: quel Vaticano a metà fra indagini ed ermetismo

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Una quaresima di silenzi. Tanto è trascorso dalla notizia di un’inchiesta interna al Vaticano per verificare la tipologia d’informazioni in suo possesso sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, tanto si è saputo sulla sua evoluzione. Cioè niente. O quasi.

Perché, nonostante abbiano provato a fare muro, Oltretevere si sono cimentati con successo nell’esercizio, riuscibile a pochi, di dire pur senza volerlo. Raggiunta via telefono per avere dettagli su quest’indagine così conclamata e sul suo avanzamento, dalla sala stampa vaticana è riecheggiata una sommessa sinfonia: non ci sono commenti da fare, non c’è nessuno al quale chiedere approfondimenti, è un argomento sul quale non occorre specificare alcunché. Queste risposte, arrivate al nostro terzo tentativo di stabilire un contatto dopo due email seguite da un silenzio quanto mai religioso, sono state un’implicita conferma dell’esistenza di questo procedimento esplorativo. Altrimenti, se fosse una pura invenzione, perché non affermarlo?

Ma allora, appurata la sua realtà, perché tanta ritrosia a parlarne? E perché, a differenza di quanto accaduto nello scorso autunno dopo il ritrovamento delle ossa di Villa Giorgina, gli augusti palazzi non hanno emesso un comunicato stampa in merito? Tanto mistero non fa che addensarne la coltre già esistente sulla vicenda. Per la quale, doveroso sottolineare come proprio con quest’azione interna il Vaticano abbia compiuto un passo in avanti rispetto a un passato d’inattività. Basti ricordare la risposta a una rogatoria inoltrata dalle parti di piazza San Pietro, nel 1986, dal giudice Ilario Martella: “Le notizie relative al caso, occasionalmente pervenute agli uffici della Santa Sede, sono state trasmesse a suo tempo al Pubblico Ministero dr. Sica”. In merito a essa però, nella requisitoria del 1997 a cura del sostituto procuratore generale Giovanni Malerba, si legge: “Di tali notizie lo scrivente non rinviene traccia in atti”.

Fra il luglio 1983 e il marzo 1985, quando l’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi era affidata a Domenico Sica, uno degli uomini di punta della procura romana, dalle Mura Leonine a piazzale Clodio arrivò giusto una piccola busta contenente una lettera sulla vicenda, scritta al Vaticano da un detenuto di Regina Coeli. A parte riportare notizie prive di fondamento, ritenerla l’unico contributo su Emanuela Orlandi presente nelle sacre stanze, equivarrebbe a un’automatica iscrizione al partito dell’ingenuità. Nel quale però si può militare fino alla maggiore età. Poi non si può più stare. Specialmente dopo l’emersione di altri particolari, tipo l’intercettazione telefonica del 1993 nella quale un alto ecclesiastico, a un futuro cittadino vaticano che l’indomani sarebbe comparso davanti i magistrati, sempre in merito al caso Orlandi esplicitò quest’affermazione: “[…] l’Ufficio ha indagato all’interno… questa è una cosa che è andata poi… non dirlo che è andata alla Segreteria di Stato […]”. Tra l’altro, come fatto notare nella seconda edizione di “Atto di Dolore”, sono molto curiose queste parole, se si pensa che l’uomo fu convocato per la scomparsa di Mirella Gregori e non di Emanuela Orlandi.

Acclarata la presenza, oltre le bronzee porte, d’informazioni su questa loro cittadina sparita oltre trent’anni fa senza lasciar apparentemente tracce, perché rifiutarsi di fornire chiarimenti sulla loro natura o quando saranno di pubblico dominio? Forse il nome Emanuela Orlandi infastidisce? Forse, in quel piccolo mondo fin troppo incantato, albergano tutti gli indizi utili alla risoluzione del suo enigma? Certo, intendiamoci: la recente storia della lettera anonima, che invita a guardare dentro la tomba del cimitero teutonico indicata dalla statua di un angelo poiché al suo interno vi sarebbe il corpo di Emanuela, è roba da cinematografico copione. Che fa rima con credulone. Non certo con investigazione, che esigerebbe l’audizione di persone nel 1983 abitanti all’ombra del Cupolone, e con comunicazione. Che sull’ennesimo capitolo di questa triste storia dovrebbe essere trasparente. Perché se ogni domenica ci si affaccia alla finestra come promotori di “pace” e di “speranza”, occorre essere i primi a comportarsi con luminosità. Altrimenti tanto ermetismo è buono giusto per fare di questo dramma una fin troppo prevedibile parodia ungarettiana: m’illumino… d’incenso!


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