Impastato e Moro, due grandi personaggi, uniti dallo stesso tragico destino. Il 09 maggio del 1978 è una data cruciale per la storia italiana, che ha lasciato una ferita profonda e un conto con il passato non ancora chiuso.
Dalle “colonne” del sito articoloventuno.it, Paolo Borrometi ha voluto ricordare così il giornalista scomparso esattamente 41 anni fa:
“Peppino Impastato ha insegnato a diverse generazioni l’importanza di non arrendersi, qualsiasi lavoro si faccia, qualsiasi sia l’impegno quotidiano. Peppino era un giornalista, ma soprattutto un cittadino libero, ribelle (nel senso più bello del termine) e precursore. Impastato aveva capito più di ogni altro nel suo tempo l’importanza della comunicazione e la necessità di informare i concittadini della violenza delle mafie. Di Peppino si ricorda sempre la frase “mafia montagna di merda”, ma è l’esortazione del “Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!!!…” a far comprendere la sua visione del mondo, oltre che della Sicilia. Ricordare Peppino, oggi, vuol dire incoraggiare nuove generazioni di giornalisti liberi, di cittadini liberi.”
Borrometi, anche lui impegnato a denunciare il malaffare in un territorio che troppe volte si vede sopraffatto dall’illecito, ha voluto ribadire l’importanza della libertà di espressione, unita al coraggio e all’amore per la Verità e la trasparenza. Questi giornalisti, che con coraggio difendono e migliorano la nostra società civile, vanno tutelati ancora oggi e non solo dalle forze dell’ordine. E’ di pochi giorni fa la pubblicazione della Carta di Assisi, un decalogo di buone pratiche che vuole contrastare l’odio che circola in rete, ma che ribadisce anche l’importanza e la centralità dei giornalisti. Infatti nel sesto punto del decalogo, si legge che “quando un cronista è minacciato da criminalità e mafie,[…] non deve essere lasciato solo. Dobbiamo diventare una[…] scorta mediatica della verità”.
A centinaia di chilometri di distanza, sempre il 9 maggio 1978, venne ritrovato il corpo esanime del presidente della democrazia cristiana, Aldo moro, nel portabagagli di una Renault 4 rossa, in via Caetani a Roma. Ucciso dalle brigate rosse, perché anziché cercare lo scontro con l’avversario politico, cercava l’incontro, per costruire un futuro migliore, pur rimanendo di opinioni contrapposte. La scelta, da parte dei brigatisti, di far ritrovare il corpo in quella via è stata tutt’altro che casuale, infatti via Caetani è a metà strada tra dove era la sede del Partito Comunista e quella della Democrazia Cristiana. Un chiaro segnale contrapposto al messaggio che Aldo Moro ed Enrico Berlinguer stavano dando al Paese.
Tratto dalla Rivista San Francesco