Moriva nel 2009, all’età di 99 anni, Aldo Buzzi, lasciandoci così come era vissuto. Appartato. A distanza di dieci anni andrebbe (ri)scoperto al di là della cerchia degli appassionati. Si potrebbe recuperare da qualche parte il suo ultimo libro, purtroppo fuori catalogo – Un debole per quasi tutto, (Ponte alle Grazie, 2006) – che raccoglieva il materiale narrativo degli ultimi anni di vita. Il libro si apriva con la famosa autointervista con cui presentava se stesso (e la sua filosofia esistenziale): comasco di origini, con avi valtellinesi (“i Buzz di Sondrio, forse parenti, alla lontana, del Butz, il barboncino marrone (canis aquaticus) che accompagnava Schopenhauer nella sua passeggiata quotidiana”); il padre era un chimico, che per lavoro si spostava con la famiglia da una regione all’altra, dal Piemonte alla Toscana (“Una maestra lombarda correggeva con lapis rosso, sui temi, certe espressioni toscane, giustissime. Inutile arrabbiarsi.”); la madre tedesca era giunta a Prato nel 1895 con il padre dirigente di azienda (“Si chiamava Kathe, cioè Caterina, un nome troppo difficile per i miei parenti italiani, che la chiamavano Ketty”). La sua vita trascorse tra il lavoro di architetto e quello per il cinema. Aiuto regista di Lattuada, ma anche per Fellini (famoso il suo Taccuino dell’aiuto-regista).
Dopo la pensione si era dedicato alla scrittura. Anche se un suo primo scritto era apparso su Il Selvaggio di Maccari, il suo vero e tardivo esordio fu con il brillante Cechov a Sondrio e altri viaggi, che fu segnalato come Libro notevole dell’anno (1966) per The New York Book Review. Il suo testo più famoso è, però, legato alla passione per la cucina, L’uovo alla kok (1979), in cui attraverso le ricette ci offriva una brillante metafora delle nostre esistenze. “Lo scrittore che non parla mai di mangiare, di appetito, di fame, di cibo, di cuochi, di pranzi mi ispira diffidenza, come se mancasse di qualcosa di essenziale.” In tutti i suoi libri, Buzzi, in modo limpido e asciutto, ci racconta della leggerezza della vita, senza, però, nessuna pretesa di imposta saggezza. Un autore originale, misconosciuto in Italia, ma paradossalmente tradotto in tutto il mondo. “A novant’anni il più giovane scrittore italiano” dissero di lui in America, dove era conosciuto anche per il suo lavoro di traduttore e per la profonda e lunga amicizia con Saul Steinberg, grande disegnatore del New Yorker, che fu suo compagno di studi in Architettura a Milano. Un intrigante divertimento è leggere Un debole per quasi tutto. Ripubblicatelo, vi prego.
Intelligenza e curiosità si sposano con l’ironia quando Buzzi mette insieme ricordi di vita e di viaggi, citazioni e miti quotidiani. Sembra di entrare con il suo libro in un gioco estremamente colto e leggero nello stesso tempo, in cui il lettore può divertirsi e scoprire nello stesso tempo un retrogusto di raffinata riflessione sul nostro mondo, spesso così greve. Un autore fintamente disimpegnato che ci costringe ad osservare le situazioni intorno a noi da un punto di vista tutt’altro che scontato. Egli partiva dalle più piccole cose intorno a noi, convinto che nascondessero significati più profondi, porgendocele con una grazia inimitabile, lontano dal pessimismo amaro di un Flaiano, a cui pur è stato paragonato. E allora lo stupore fa breccia in noi quando si scopre uno scrittore così “diverso”, fuori dal coro, che offre alla nostra amara quotidianità soluzioni di graffiante freschezza, facendoci nello stesso tempo sorridere, sorprendere e pensare. “Buzzi, le spiace aver iniziato tardi a scrivere?” – “Uno scrive quello che ha dentro, se comincia presto finisce presto.”