Il Venezuela tra Maduro, Guaidò e i militari, non resta molto spazio alla democrazia…

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A Caracas l’opposizione e il governo stamane hanno spinto in strada i rispettivi sostenitori, ma a decidere le sorti del paese sono i militari. Com’era prevedibile e previsto: l’unico punto su cui convergevano le opinioni su tutto il resto divise e contrapposte. Nella confusione e nella pericolosa incertezza d’un paese spaccato, in queste ultime ore sembra essersi spaccata anche l’alta ufficialità delle Forze Armate, che sta forse cercando un accordo sul come licenziare il Presidente Nicolás Maduro. Gli erano rimaste fino a ieri apparentemente fedeli. Sebbene fosse evidente che si trattava e si tratta ancora di una lealtà condizionata e a termine. Le forme e i tempi in cui decideranno di chiudere la ventennale storia del chavismo non saranno comunque di secondaria importanza

Da Washington, ha spiegato il movimento in atto a Caracas l’ambasciatore personale del presidente della Camera dei Deputati, Juan Guaidó, autoproclamatosi due mesi addietro capo di stato provvisorio e come tale riconosciuto da Stati Uniti, Unione Europea e gran parte dei governi latinoamericani. Parlando non dall’Ambasciata, ancora presieduta dal rappresentante del governo Maduro, bensì dagli uffici degli addetti militari, Carlos Vecchio ha dichiarato che “il nostro è un processo, non un semplice episodio. Nelle prossime ore la mobilitazione si estenderà a tutto il territorio nazionale. Non si tratta di un golpe militar, ma di un processo che ha come obiettivo la restaurazione del sistema democratico, ed ha l’appoggio delle forze armate”.

Il fuoco insurrezionale sarebbe dunque destinato a perdurare acceso, anche se le fiamme finora non divampano. E il rischio d’un incendio sociale appare fortissimo e concreto. La strategica base militare de La Carlotta, nei pressi della capitale, è almeno in parte insorta. C’è da immaginare che non casualmente le sue adiacenze siano state un punto di concentrazione per i manifestanti dell’opposizione. Contro i quali sono intervenute a più riprese con bombe lacrimogene e violenti getti d’acqua autoblindo della Guardia Naciónal. “Occupiamo la piazza fino a sbaragliare l’Usurpazione”, incitavano da altri punti della città Juan Guaidó e il capo storico del suo raggruppamento d’estrema destra, Leopoldo Lopèz, che per unirsi ai rivoltosi ha abbandonato gli arresti domiciliari ai quali è stato confinato da una condanna a 14 anni.

Dopo molte ore di silenzio, Nicolás Maduro si è infine rivolto pubblicamente ai propri sostenitori per rassicurarli sulla lealtà delle Forze Armate. 

“Nervi d’acciaio!”, ha esordito. E poi, proseguendo sempre su Twitter, come ormai usa:”Ho avuto conferma di totale lealtà al popolo, alla Costituzione, alla Patria, da parte di tutti Comandanti della Rete di Difesa Integrale” (Stato Maggiore Generale Congiunto delle FFAA bolivariane). Aveva commentato poche ore prima il noto accademico Claudio Fermin, sociologo e figura rispettatissima dell’opposizione socialdemocratica: ”Se davvero Maduro e Guaidò avessero a cuore i venezuelani, dovrebbero indire d’intesa il Referendum Consultivo previsto dalla Costituzione e lasciare che a esprimersi sia la democrazia…”.


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