Spagna. Pedro Sánchez vero trionfatore di queste elezioni

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Le elezioni spagnole hanno dato  una vittoria chiara e solida al Psoe che vince nettamente pur non conquistando la maggioranza assoluta.

La campagna elettorale è stata dura e aggressiva, radicalizzata anche dal duro confronto a destra, tutta centrata sullo scontro tra nazionalismi, sulle due spagne contrapposte. Politica e media hanno fomentato i contrasti ma col voto gli spagnoli hanno scelto il dialogo contro lo scontro frontale. Gli elettori. La Spagna stanca di guerra sembra ora chiedere altro alla politica, un cambio di prospettiva, e ha consegnato per questo a Pedro Sánchez le chiavi del governo del paese.

Battaglia nella battaglia, nel voto si è consumata una resa dei conti nella destra spagnola. I popolari restano secondo partito ma si conferma la fine del monopolio elettorale del centrodestra. A Ciudadanos, che non riesce a superare il Pp ma sembra avere più strada davanti a sé, si aggiunge ora un altro concorrente: l’ultradestra machista e nostalgica del franchismo di Vox. La formazione irrompe in parlamento, un evidente successo, seppur minore delle previsioni e dei sondaggi, come dei timori di molti. La sensazione diffusa è che l’offensiva dell’ultra destra sia stata, almeno provvisoriamente, arginata. 

A sinistra, Unidas Podemos perde molti voti e seggi ma i duri scontri interni degli ultimi due anni facevano temere peggio. La fine della ricerca del sorpasso sul Psoe, una campagna che ha fatto dell’applicazione della Costituzione un programma politico per le sinistre – e forse la scoperta che il partito era stato oggetto di una campagna basata su intercettazioni illegali e falsi dossier prodotti da apparati deviati della pubblica sicurezza – hanno prodotto un risultato che consente a Iglesias di trarre un sospiro di sollievo, anche guardando alla concreta possibilità di andare al governo.

I sondaggi, pur coincidendo sul fatto che il Psoe sarebbe arrivato primo, avevano sovrastimato le destre, rendendo incerto il risultato finale. Non era dunque certo che Sánchez potesse formare un governo. Il voto ha sancito non solo che lo farà ma anche che avrà possibilità di scelta. Pur senza avere la maggioranza assoluta il risultato blinda il segretario socialista al centro del quadro politico, consegnandoli alcune condizioni che ne moltiplicano la forza.

La prima, tattica e immediata, è la libertà dall’accordo obbligato con gli indipendentisti catalani. Disarma le destre che lo accusano di aver già stretto accordi politici con loro in cambio dell’investitura,  e mette a posto anche gli avversari interni al Psoe. La seconda, di respiro strategico, è la solida maggioranza assoluta conquistata al Senato. È la prima volta dal 1993 che la Camera alta non è dominata dai popolari. In Spagna vige il bicameralismo, seppur non perfetto, e dal Senato passano voti fondamentali per gli snodi politici da affrontare; fu il Senato a imporre l’articolo 155 che commissariò l’autonomia catalana, dal Senato passano tutte le riforme e le leggi sistemiche che non si possono fare per via parlamentare ordinaria.

Se la questione catalana è stata centrale nella campagna elettorale nazionale in Catalogna l’ha totalmente monopolizzata. Non poteva essere diversamente, con gli indipendentisti catalani sotto processo e in carcere preventivo da oltre un anno e mezzo, cinque dei quali candidati a queste elezioni. In Catalogna Esquerra republicana (Erc) de Catalunya non solo conquista l’egemonia nel campo nazionalista ma per la prima volta è il partito più votato alle politiche nazionali, deve sempre i catalani avevano scelto partiti “nazionali”. Risorge anche il Partito socialista catalano (il Psoe è un partito federale), che da anni era marginale, riuscendo nella riconquista del “cinturone rosso”, i voti dei quartieri operai che circondano Barcellona che erano stati conquistati da En Comù, la lista della sindaca di Barcellona, Ada Colau, e da Ciudadanos. Erc ha poco più di un milione di voti, Il Psc poco meno, entrambi hanno espresso intenzioni dialoganti nella crisi catalana.

Il dibattito si centra ora sulle scelte del segretario socialista. Se guarderà alla sua destra, , Ciudadanos, o alla sua sinistra, Podemos, o se proverà la carta del governo monocolore di minoranza. Ma pensare adesso al governo è prematuro. Mancano ancora dei tasselli fondamentali.

Tra un mese, il 26 maggio, oltre che per le europee la Spagna voterà anche per le comunali e per tutte le comunità autonome, escluse quelle basca, galiziana e catalana. La costruzione del gioco di alleanze per governare città e autonomie influirà sugli accordi per il governo centrale, influirà anche sul tipo di alleanze che consentiranno il varo del governo  prossimo governo Sánchez.

Pedro Sánchez è dunque il vero trionfatore di queste elezioni. Fino a un anno e mezzo fa il suo partito ha tentato ancora una volta di farlo fuori. Lui si è rivolto alla base e lo ha ripreso. Adesso può costruire finalmente il suo Psoe. È indicativo il fatto che nessuna delle figure storiche del Psoe – Felipe González, José Luis Rodríguez Zapatero, José Bono o Alfonso Guerra – si siano pubblicamente felicitati col segretario per il risultato elettorale. Il 28 aprile è nato anche un nuovo Psoe, che si distacca completamente dalla generazione dei fondatori del nuovo corso socialista negli anni ’80. Alla capacità di resistenza di questo giovane leader politico, che spesso appare vacuo e poco solido, va invece dato atto di essere riuscito ad arrivare sino a questo punto.

Adesso deve guardare al paese. La  Spagna vive da anni una crisi profonda, politica, democratica, istituzionale e territoriale. La vicenda catalana, e lo scontro tra opposti nazionalismi che ha generato, ha rappresentato il più grande sintomo della crisi. Questa, non detta dalla politica né dalla stampa, espulsa dal discorso pubblico, era la vera posta in gioco, il senso ultimo di questo voto, la sfida di questa fase storica. La mappa degli astri della politica sul cielo di Spagna è però unica e eccezionale. Tra domenica scorsa e il prossimo 26 maggio, in una grande partita giocata in due turni si attua il totale e contemporaneo rinnovamento di tutte le rappresentanze e dei livelli amministrativi del paese. Un’occasione rara e proficua per affrontare le riforme di cui la Spagna ha bisogno. Un compito che sembra enorme per le spalle di Pedro Sánchez, che però tutti pensavamo si sarebbero spezzate già prima, sotto il peso della politica.


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