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Rsf, giornalisti costretti a operare tra pericoli e minacce. ‘Buone condizioni’ solo per il 24% in 180 paesi

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Tra pochi giorni sarà celebrata in tutto il mondo la Giornata internazionale per la libertà di stampa, oggi lo spaccato che ci offre il rapporto di Reporters senza frontiere ci pone di fronte a un fatto indiscutibile: c’è poco o nulla da festeggiare.
I giornalisti sono sempre più vittime di minacce, l’odio nei confronti della nostra categoria è degenerato in
violenze verbali e anche fisiche in molti casi.
Come è avvenuto in Italia nei confronti di venti cronisti italiani sotto la protezione della polizia, giorno e notte, a causa di gravi minacce o tentativi di omicidio da parte della mafia o da gruppi di estremisti.
In particolare Rsf cita le vicende di Roberto Saviano e Paolo Borrometi.
Il nostro Paese, dunque, continua a guadagnare posizioni e supera gli Stati Uniti nel ranking 2019: siamo 43esimo su 180 Paesi, quasi dieci posizioni rispetto al 2017 quando eravamo 52esimi.
“Il livello di violenza nei confronti dei giornalisti è allarmante e continua a crescere, specialmente in Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, così come a Roma e nella regione circostante. Diversi giornalisti hanno subito furti nelle loro abitazioni da gruppi criminali o perquisizioni dalla polizia, che ha confiscato importanti documenti di lavoro. Questi giornalisti coraggiosi e determinati continuano comunque i loro rapporti investigativi” sottolinea l’organizzazione.
Rsf ricorda anche come molti giornalisti siano stati criticati e insultati in relazione al loro lavoro da politici, in particolare da membri del Movimento a cinque stelle, che li hanno definiti ‘inutili sciacalli’ e ‘puttane’ e afferma che “alcuni giornalisti hanno ceduto alla tentazione di censurarsi per evitare molestie politiche”.
Nella relazione viene presentato un ampio quadro sulle intimidazioni verso la stampa libera e indugia su come il ‘risultato’ del lavoro o delle opinioni espresse da alcuni giornalisti siano state minacce di politici e il ritiro della protezione della polizia di cui godevano da anni, come nel caso di Saviano.
Non va meglio nel resto del mondo.
Solo il 24 % degli operatori dell’informazione in 180 paesi afferma di veder rispettati i propri diritti e di lavorare in “condizioni buone”.
Dato che dall’analisi e dalle informazioni raccolte nel report 2019, rispetto al 2018, è peggiorato calando di due punti percentuali.
«Sono stati persi due punti in particolare a causa dell’aumento dell’ostilità contro i giornalisti, e dell’odio diffuso in molti paesi dai leader politici, che ha portato ad atti di violenza più seri e più frequenti” si legge nella relazione che accompagna il rapporto.
L’Ong ha rilevato un aumento dei pericoli a cui vanno incontro gli operatori dell’informazione e, di conseguenza, un nuovo livello di paura in alcuni luoghi tra i giornalisti.
Le molestie, le minacce di morte e gli arresti arbitrari fanno sempre più parte dei “rischi sul lavoro”.
Negli Stati Uniti (48esima posizione, arretrando di 3), ad esempio,
si registra un clima sempre più ostile.
Mai così tanti giornalisti
americani erano stati oggetto di minacce di morte come dall’avvento di Trump.
“Mai in passato avevano avuto bisogno di cosi tante aziende private per garantire la loro sicurezza”, afferma Rsf che ricorda l’uccisione, nel giugno 2018, di quattro giornalisti e un impiegato di un giornale del Maine, il Capital Gazette.
In Brasile (105esima posizione, perdendone 3 rispetto al 2018), la campagna presidenziale punteggiata da “incitamento all’odio” e disinformazione, “lascia presagire un periodo buio per la democrazia e la liberta’ di stampa”, scrive ancora Rsf.
Anche in Europa la situazione si è deteriorata bruscamente. Qui i giornalisti, denuncia Rsf, devono oggi
affrontare le peggiori minacce e in molti casi vengono uccisi come avvenuto a Malta, in Slovacchia e in Bulgaria.
E poi ci sono gli attacchi verbali e fisici, come in Serbia o Montenegro, o gli arresti arbitrari come in Turchia, che resta la più grande prigione per giornalisti.
Gli unici dati positivi del rapporto del 2019 riguardano i paesi nordici, che continuano a fare da apripista, come la Norvegia, che rimane ai vertici della classifica seguita dalla Finlandia. A sorpresa il Costa Rica si piazza decimo, dimostrando di essere la pietra miliare del diritto alla libertà di stampa nel continente americano: i giornalisti possono lavorare tranquillamente.
Anche altri paesi hanno cambiato volto con i nuovi governi, come la Malesia
(123esima, +22), le Maldive (98esime, +22), l’Etiopia (110esima, +40) e il Gambia (92esimo, +30).
L’arrivo di nuovi leader ha portato una ventata di aria fresca per la stampa ma in tante altre realtà l’ossigeno si riduce ogni giorno di più.


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