Chiudere Radio Radicale significherebbe non solo perdere una voce fondamentale per l’informazione e quindi per la democrazia di questo paese che già su questi argomenti se la passa maluccio, ma comporterebbe la probabile dispersione di un autentico patrimonio del paese: l’archivio di questa radio.
Il tema lo conosco bene. Quello che Bolognetti oggi ricorda non solo l’ho detto nel corso degli anni in cui ero a capo degli archivi Rai, ma lo penso ancora di più adesso. L’enorme archivio di Radio Radicale, organizzato in modo meticoloso anche se ancora in parte analogico, è in Italia l’unico, insieme all’archivio storico del Movimento Operaio, realmente complementare alle teche Rai, nel senso tecnico del termine, perché completa la rilettura della politica e della società del secondo Novecento fino ai giorni nostri.
Anni addietro avrei voluto che la Rai li acquisisse e li sistematizzasse digitalmente in modo omogeneo con le teche, con l’evidenza necessaria a mantenerli distinti ma assolutamente integrati per il ricercatore finale che avrebbe avuto davvero davanti un’unica interfaccia con cui cercare la storia d’Italia dal dopo guerra ad oggi. Il tema non è all’ordine del giorno ma resta una suggestione, caso mai qualcuno in futuro avesse delle tentazioni. Ma il problema sul tappeto rimane. Se Radio Radicale chiude che fine farà l’archivio? Un archivio dove si rintracciano le più assurde interpellanze parlamentari, le sedute delle commissioni dove è passata la storia spesso tragica del paese – pensate ai lavori delle commissioni sulla P 2, sul delitto Moro, su Ustica – gli aspetti anche più grotteschi della vita parlamentare. Se ne potrebbe scrivere per giorni!
Nelle giornate del 2 e del 3 vorrei che il tema di Radio Radicale fosse molto illuminato, delle mezze assicurazioni non c’è da fidarsi, dobbiamo avere la certezza che quella voce non si spegnerà e che quel patrimonio di memoria collettiva resterà, appunto, a disposizione della collettività.