Fa impressione la perseveranza nel male del sottosegretario Crimi. Il continuo e funebre evocare la chiusura di giornali e di Radio radicale mette inquietudine e angoscia. Se è “una parte del tutto”, è un’avvisaglia di una vera e propria cultura autoritaria. Chiudere radio e giornali è tipico di un regime.
Sul tema di Radio radicale, poi, sembra proprio che Crimi non conosca bene la storia. L’ipotesi di mettere a gara la concessione per le attività istituzionali e parlamentari fu valutata nel 1997/1998, ma venne infine scartata per l’unicità del servizio reso. Quest’ultimo, infatti, non riguarda solo le attività della Camera e del Senato, bensì il più complessivo racconto della vita pubblica, nonché la tenuta e l’aggiornamento dell’Archivio. Quest’ultimo è unanimemente considerato un gioiello: insostituibile e irriproducibile. Neppure lontanamente è lecito paragonare, poi, Radio radicale con Gr parlamento, un’esperienza considerata marginale dalla stessa Rai.
Perché, dunque, il sottosegretario insiste su di una linea ormai contestata dalla gran parte del Parlamento e aspramente criticata da migliaia di sottoscrittori di un appello lanciato qualche settimana fa da numerose personalità della cultura? Perché non si confronta? Forse preferisce che il governo venga ricordato un giorno per le censure e i bavagli?
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